Lievito di birra e benessere intestinale
C’è stato un momento in questi mesi di lockdown in cui nei supermercati non si riusciva più a trovare né farina né tantomeno il lievito. Il web è stato subito popolato da meme e post su “gli italiani, popolo di impastatori” in cui si prendeva in giro l’incredibile e riscoperta attitudine degli italiani alla produzione casalinga di pane, pizze, brioches, focacce e così via. Probabilmente è un’attitudine che conserviamo nel nostro DNA e che tiriamo fuori quando diventa necessaria ?.
Questa corsa alla panificazione mi ha fatto pensare a quel microrganismo fedele e fondamentale per la lievitazione che è il lievito di birra, ovvero Saccharomyces cerevisiae. Ne abbiamo mangiato a teglie intere ma… questo lievito ha qualcosa a che vedere con il nostro microbiota?
Partiamo dall’inizio
Non se ne parla spesso ma il microbiota intestinale è un piccolo-grande ecosistema in cui non ci sono solo i famosi batteri. Il colon infatti è ricchissimo anche di altre forme viventi tra cui virus (che però non sono considerati “viventi” in senso stretto), protozoi e, per l’appunto, funghi e lieviti. Quest’ultima sezione del microbiota, chiamata micobiota [dal greco μύκης «fungo»; latino scient. myco-], è purtroppo meno studiata ma alcune informazioni si conoscono già.
Ad esempio si sa che, rispetto ai batteri, funghi e lieviti sono decisamente meno presenti e meno vari. Tuttavia tra persona e persona variano tanto quanto all’interno dello stesso soggetto in periodi diversi. Quindi se il microbioma batterico è una sorta di impronta digitale di una persona, il micobioma fungino no.
Guarda un po’ chi si rivede!
Abbiamo tre principali lieviti o funghi nell’intestino: Candida albicans, Malassezia restricta e, udite udite, Saccharomyces cerevisiae. Proprio lui ed è pure il più abbondante di tutti! Non solo: sembra che il nostro lievito di birra intestinale abbia un effetto antinfiammatorio e protettivo della barriera intestinale, a sostegno di quello della flora batterica.
In uno studio su pazienti con Morbo di Crohn alcuni ricercatori infatti hanno rilevato, oltre alla modifica del microbioma batterico, che S. cerevisiae tendeva ad essere meno abbondante rispetto al gruppo dei sani. Al contrario C. albicans era aumentata (come solitamente tende ad aumentare dopo un pasto ricco in carboidrati).
Tuttavia la supplementazione* con S. cerevisiae ha apportato un beneficio ai pazienti promuovendo la produzione di molecole antinfiammatorie. Probabilmente, concludono gli autori dello studio, i soggetti con Morbo di Crohn, avendo una inferiore abbondanza di S. cerevisiae intestinale, sono meno protetti da un incremento dello stato infiammatorio tipico della patologia.
Un nuovo mondo ci aspetta
Non è ancora chiaro quanto il micobioma fungino sia influente sulla salute rispetto al microbioma batterico, che è più abbondante e unico. Tuttavia il fatto che si modifichi in caso di malattia e giovi in caso di supplementazione, fa ben sperare. In un certo senso quindi il lievito di birra sembra legato al benessere intestinale.
Sicuramente l’esplorazione del micobioma fungino è un ambito interessante e anche noi di Microbioma Italiano vogliamo iniziare a farlo. Ci vorrà ancora qualche tempo ma l’intenzione di adottare una tecnologia di sequenziamento del DNA accessibile a tutti e che ci permetta di avere l’immagine completa della flora intestinale c’è assolutamente e non ne vediamo l’ora!
Nel frattempo continuate a panificare e a voler bene a quel piccolo lievito sia nel forno che nella pancia.
Alla prossima!
Eleonora Sattin, PhD
Responsabile servizio Microbioma Italiano presso BMR Genomics
*con lievito vivo. Il lievito nel pane o nella birra purtroppo è morto e non può supplementare nulla, se non come nutriente per la flora residente
The gut mycobiome of the Human Microbiome Project healthy cohort