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Batteri del buonumore? Esistono e sono farmaci viventi

Vi siete mai sentiti arrabbiati, tristi, ansiosi oppure anche solo stanchi e svogliati dopo una terapia antibiotica? Tranquilli, è tutto normale. Questa reazione è solo uno dei diversi modi con cui il microbiota fa sentire che c’è e che ha qualcosa da ridire. Sì, perché se da una parte gli antibiotici sono fondamentali per curare un’infezione batterica, dall’altra possono colpire anche batteri intestinali benefici. Infatti se si assumono i cosiddetti antibiotici “ad ampio spettro”, ovvero non specifici per un determinato gruppo di microrganismi, questi farmaci uccidono un po’ tutti i batteri sensibili a quella molecola. Buoni o cattivi che siano.

Benefici batteri intestinali residenti

Abbiamo già parlato del ruolo che il microbiota ha nei confronti della nostra salute mentale, del nostro umore, della nostra socialità. Un microbiota equilibrato comunica con il nostro organismo in modo da fornire sostegno energetico, nutritivo, ormonale ed ottenere in cambio cibo e protezione. Tuttavia fattori esterni (come terapie antibiotiche protratte per lungo tempo) o interni (come l’età avanzata) possono modificare questi equilibri e sostenere la crescita incontrollata di batteri infiammatori. Tutto questo a discapito di quei batteri che, come degli ambasciatori, tentavano di favorire la civile convivenza tra microbiota e ospite. Batteri come le Lachnospiraceae, F. prausnitzii, A. muciniphila, i Bifidobatteri e i Lattobacilli, sono degli ambasciatori intestinali e in presenza di patologie infiammatorie o terapie antibiotiche purtroppo tendono a diminuire.

Da pro-biotici a psico-biotici

Non è strano che questi ambasciatori benefici siano definiti probiotici (a favore della vita). Essi agiscono positivamente sul nostro organismo digerendo le molecole alimentari e trasformandole in composti antinfiammatori, energetici e immunostimolanti. Inoltre molti di questi probiotici sono coinvolti anche nella modulazione dell’asse intestino-cervello, nella regolazione dell’umore, nelle funzioni cognitive, nei processi di apprendimento e di memoria. Una loro forte diminuzione è stata vista in casi di patologie neurodegenerative (Alzheimer, Parkinson) oppure in caso di disordini mentali (depressione, autismo). Molti studi hanno riportato una correlazione tra assunzione prolungata di antibiotici, disbiosi, diminuzione di batteri probiotici e aumento di comportamenti simili a depressione o ansia.

Ma quindi se in queste patologie mancano determinati batteri, non potremmo reintegrarli? Ecco che da probiotici diventerebbero quasi dei farmaci per la mente: gli psicobiotici, appunto.

Medicina alternativa?

Non è un caso se, in concomitanza con una terapia antibiotica, sia consigliata l’assunzione di probiotici, anche in seguito alla conclusione della terapia stessa. In questo modo si favorisce la ricolonizzazione dell’intestino con batteri probiotici che a loro volta stimolano la crescita di altri batteri benefici. Lo stesso concetto di integrazione è stato applicato in vari studi di neuropsicologia, anche se ancora maggiormente su topi. 

Ad esempio Lactobacillus plantarum PS128 e Lactobacillus rhamnosus (JB-1) anche singolarmente evidenziano attività ansiolitiche, antidepressive. Bifidobacterium longum 1714 è anche antistress mentre Lactobacillus helveticus NS8 riduce le disfunzioni cognitive e così via.

Diverse mix di probiotici sono in fase di sperimentazione per patologie come Alzheimer, Parkinson, autismo, ADHD. La ricerca sta procedendo e molti studi si stanno spostando dai topi agli umani, pertanto in qualche tempo probabilmente potremo avere un nuovo scaffale in farmacia. O nel banco frigo, dato che diverse aziende produttrici di probiotici e alimenti si stanno già muovendo in tal senso.

Nuove prospettive partendo da dentro di noi

Il termine integrazione è molto incoraggiante ma spesso nasconde un punto focale: i nostri probiotici intestinali ce li abbiamo già e li dobbiamo allevare amorevolmente. Questo implica che il nostro comportamento, specialmente quello alimentare, deve fornire giornalmente ai nostri batteri benefici tutto l’occorrente per proliferare al meglio. 

La seguente tabella è una parte dell’analisi EVO di una persona che, pur non prendendo probiotici, ha nel suo intestino un’alta varietà di batteri benefici.

Batteri probiotici possono naturalmente essere presenti nell’intestino. A. muciniphila e F. prausnitzii sono i più comuni mentre i Bifidobatteri sono più presenti nei bambini o in caso di assunzione di probiotici integratori.

 

Dieta, movimento e stile di vita salutare saranno fondamentali per non perderli.

E voi, che batteri benefici avete?

Per chi volesse scoprirlo diamo un coupon con il 20% di sconto* sull’analisi di Microbioma Italiano, sia Evo che base: ev20-2204-1548.

Alla prossima!

Eleonora Sattin, PhD
Responsabile servizio Microbioma Italiano di BMR Genomics

*valido fino al 31/05/2020


Psychobiotics in mental health, neurodegenerative and neurodevelopmental disorders.

The Microbiome and Host Behavior.

Gut-Brain Psychology: Rethinking Psychology From the Microbiota–Gut–Brain Axis

Dieta, Microbiota e Sistema Immunitario: una relazione a tre.

In questo momento così complesso per tutti noi, abbiamo a disposizione una risorsa molto rara e preziosa, il tempo.

Il tempo a volte ci sfugge, è vero, ma a volte lo usiamo come scusa per non modificare le nostre idee e abitudini, rimanendo dentro ai rassicuranti confini della nostra comfort-zone. La mancanza di tempo ci offre un alibi pronto all’uso per non iniziare quel progetto a cui pensiamo da anni ma che ci spaventa, per non riflettere di giorno su quella situazione che non ci fa dormire di notte, per non cercare un lavoro nuovo, per non prenderci cura di noi.

Per non dedicarci alla nostra alimentazione.

Cosa perdiamo? Noi stessi e il nostro benessere.

E’ tempo di dedicare tempo a noi. E non abbiamo scuse.

Iniziamo dalla dispensa e dalla cucina, che ne dite?

Da sempre penso che il cibo di cui ci nutriamo sia lo strumento più potente che abbiamo a disposizione per promuovere il nostro benessere e le evidenze scientifiche lo dimostrano.

Mangiare è alle origini e alle origini è il nostro Microbiota. Con esso ci siamo co-evoluti.

Non è strano quindi che ciò che mangiamo influenzi profondamente il nostro Microbiota e, di conseguenza, i molteplici aspetti della nostra salute a cui contribuisce, inclusi i meccanismi alla base dell’immunità e della resistenza ai patogeni.

Le molecole che costituiscono gli alimenti, carboidrati, fibre, proteine, grassi, composti polifenolici, vitamine e minerali hanno una struttura e delle proprietà chimiche uniche, in grado di influenzare positivamente o negativamente la relazione sinergica tra il Microbiota e il suo ospite.

Ma vediamo più nel dettaglio le tre principali classi di macronutrienti, se avete abbastanza tempo da dedicare a questa lettura  😀

Carboidrati

I carboidrati presenti negli alimenti possono essere distinti in digeribili o non digeribili (le fibre). Questi ultimi, insieme a quella frazione dei carboidrati digeribili che sfugge all’azione dei nostri enzimi digestivi, raggiungono il colon dove vengono utilizzati come fonte di energia dal Microbiota residente e sono in grado di influenzare profondamente l’ecosistema intestinale.

Diversi studi dimostrano che una dieta ad alto contenuto di carboidrati semplici e raffinati altera l’equilibrio tra le comunità microbiche, compromettendo la barriera intestinale, con conseguente aumento della suscettibilità alle infezioni.

Al contrario, una dieta ben bilanciata, che prediliga i carboidrati complessi e garantisca un adeguato apporto di fibre, stimola la crescita e la fermentazione dei batteri commensali benefici, limitando la sopravvivenza dei patogeni per esclusione competitiva.

La fermentazione microbica delle fibre porta alla produzione di acidi grassi a catena corta (SCFAs), principalmente butirrato, acetato e propionato, noti per i loro effetti benefici sulla salute. Gli SCFAs, in particolare il butirrato, vengono utilizzati come fonte di energia dalle cellule dell’epitelio intestinale e contribuiscono a preservare l’integrità e la funzionalità della barriera intestinale. Studi che hanno confrontato gli effetti del consumo di differenti quantità di fibre negli adulti hanno dimostrato che una maggiore assunzione di alimenti ricchi di fibre riduce il rischio di morte per infezioni cardiovascolari e malattie respiratorie del 24-56% negli uomini e del 34-59% nelle donne.

Inoltre, alcune tipologie di carboidrati fermentabili, come i Galatto-Oligo-Saccaridi (GOS) e i Beta-glucani, presenti naturalmente in alcuni alimenti, favoriscono la crescita benefica di Bifidobatteri, modulano l’attività di alcune tipologie di cellule del nostro sistema immunitario e stimolano la produzione di molecole anti-infiammatorie.

In generale, quindi, un adeguato consumo di fibre ha effetti benefici sulla salute del nostro intestino, questi effetti, però, dipendono molto dalla fonte e dalla tipologia di carboidrati, oltre che dalle nostre caratteristiche individuali.

Ricordiamo che non tutti gli individui traggono beneficio da un elevato consumo di fibre, che può portare a eccessiva produzione di gas, gonfiore, dolore addominale. La strategia nutrizionale, quindi, deve essere personalizzata e monitorata per evitare possibili effetti collaterali.

Grassi

Altra importante classe di macronutrienti essenziale che non può mancare nella dieta di ciascuno di noi, i grassi sono stati a lungo criticati e comunemente evitati nei Paesi sviluppati, allo scopo di tenere sotto controllo l’aumento di peso, i livelli di colesterolo e il rischio di malattia cardiovascolare.

Tuttavia, una forte limitazione dei grassi nella dieta ha portato a un aumentato consumo di carboidrati semplici che si pensa possa aver contribuito all’epidemia di obesità e diabete acquisito nei Paesi Occidentali.

I grassi hanno effetti diretti e indiretti, mediati dal Microbiota e dai loro metaboliti, sulla salute dell’intestino.

In particolare, la tipologia e la composizione dei lipidi nella dieta (acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi) influenzano la risposta del sistema immunitario a infezioni enteriche e l’esito dell’infezione stessa.

Uno studio ha evidenziato come gli acidi grassi saturi presenti nel latte e gli acidi grassi monoinsaturi dell’olio di oliva siano in grado di ridurre l’infiammazione dovuta ad infezioni enteriche.

Inoltre, gli acidi grassi saturi a catena media, come l’olio di cocco, hanno azione antifungina verso Candida albicans e proprietà antimicrobiche verso patogeni enterici.

L’aggiunta di olio di pesce, ricco in acidi grassi polinsaturi omega3, a una dieta dominata da acidi grassi saturi ha dimostrato proprietà detossificanti verso il lipopolisaccaride LPS, una endotossina pro-infiammatoria che si accumula durante le infezioni. In generale una dieta ricca in acidi grassi omega3 si è dimostrata protettiva nei confronti di diversi patogeni. Tuttavia, la dose e il tempo di assunzione degli acidi grassi omega3 sono critici per l’equilibrio del sistema immunitario a livello intestinale. Quantità costantemente elevate di acidi grassi omega3 alterano le comunità microbiche e il sistema immunitario verso uno stato antinfiammatorio che potrebbe essere controproducente nei casi in cui risposte pro-infiammatorie siano invece essenziali per la risoluzione dell’infezione.

Proteine

Le proteine e gli amminoacidi che le compongono svolgono una funzione cruciale nella regolazione del sistema immunitario e nella produzione di mediatori dell’infiammazione e di anticorpi. Gli amminoacidi essenziali, che svolgono diverse importanti funzioni a livello fisiologico, devono necessariamente essere introdotti con l’alimentazione, in quanto il nostro corpo non è in grado di produrli autonomamente.

Un’alimentazione carente in proteine compromette, tra le altre cose, l’immunità e la resistenza alle infezioni. L’amminoacido treonina, ad esempio, è essenziale per la produzione di mucina e per preservare l’integrità della mucosa intestinale, una dieta carente compromette la funzionalità della barriera intestinale che ci protegge dall’attacco dei patogeni. Gli indoli, che derivano dall’utilizzo del triptofano da parte del Microbiota, svolgono un ruolo chiave nel controllo dell’infiammazione e nella protezione dalle infezioni.

D’altra parte, alcuni studi evidenziano come diete eccessivamente iperproteiche possono portare a una elevata quantità di proteine non digerite che stimolano l’iper-proliferazione delle specie batteriche che le fermentano e possono aumentare la suscettibilità alle malattie.

Le proteine non digerite possono interferire con il nostro metabolismo direttamente, agendo come proteine biologicamente attive (BAPs) che inibiscono l’azione di alcuni enzimi digestivi, e indirettamente, attraverso una sovra-produzione di sotto-prodotti della loro fermentazione batterica che possono avere un’azione cancerogena o tossica per l’organismo, compromettendo l’integrità della barriera intestinale e aumentando il rischio di infezioni.

Inoltre, la fonte delle proteine e il modo in cui vengono processate possono influenzare la loro digeribilità e quindi il loro utilizzo da parte del Microbiota. Le proteine animali, ad esempio, risultano più digeribili rispetto alle proteine vegetali, mentre il trattamento ad elevate temperature (180°C) per tempi prolungati tende a diminuire la digeribilità delle proteine, portando a una maggiore fermentazione nel colon.

 

Che messaggio ci portiamo a casa?

Che l’alimentazione può influenzare profondamente il nostro stato di salute e merita la nostra attenzione, la nostra cura e il nostro tempo.

Ciascuno di noi è unico nelle sue caratteristiche e nei suoi bisogni e porta dentro di sè un complesso ecosistema che influenza e da cui è influenzato.

Come dobbiamo regolarci?

Con l’equilibrio e l’ascolto del proprio corpo, in primis, e, quando necessario, affidandoci a dei professionisti in grado di suggerirci la strategia nutrizionale migliore per ciascuno di noi.
Ci ritroviamo presto con il prossimo post su vitamine e integrazione e voi avete già pensato a cosa cucinare oggi?

Ilena Li Mura, PhD,
Biologa Nutrizionista


References:

Diet-Microbe-Host Interactions That Affect Gut Mucosal Integrity and Infection Resistance

Microbiome, metabolites and host immunity

 

 

 

Il Microbiota ci protegge dall’influenza?

 

Secondo voi il microbiota che abita pacificamente nel nostro corpo permetterebbe a cuor leggero che dei microrganismi esterni espugnassero la sua casa e la distruggessero? Esattamente, no.
Infatti i patogeni esterni come batteri, virus, funghi o parassiti, per far ammalare il nostro corpo devono prima affrontare e battere le solide difese del nostro microbiota commensale, oltre che tutte le altre barriere del nostro corpo.
L’intestino è di fatto una grandiosa via d’accesso al nostro organismo ma è popolato da fiorenti comunità microbiche che occupano come dei soldati le porte d’entrata. Questa armata microbica favorisce il cosiddetto “effetto scudo”, una barriera nei confronti dei patogeni malintenzionati e dipende da complesse interazioni tra i tipi di microrganismi presenti (specie, abbondanza e diversità), il sistema immunitario e la struttura intestinale

Il microbiota ci protegge

Come fa il microbiota a proteggerci? Le modalità sono diverse e iniziano dalla vera e propria occupazione fisica del “suolo intestinale” che non permette ai patogeni di attecchire e riprodursi. Altre strategie spaziano dalla produzione di molecole antimicrobiche all’allenamento militare delle cellule del sistema immunitario.
In questo periodo si parla molto di virus dell’influenza. I virus che tentano l’arrembaggio vengono bloccati in quanto spesso i batteri si legano ad essi e li immobilizzano, oppure ne deformano la struttura inibendone la replicazione. In altri casi sono gli stessi batteri intestinali o i loro metaboliti che attivano il sistema immunitario e lo guidano a rilevare e combattere gli intrusi. Batteri benefici quali Lattobacilli e Bifidobatteri, oppure le specie Enterococcus faecium, Staphylococcus epidermidis e Clostridium orbiscindens lavorano proprio in tal senso.

Il microbiota ci protegge quando è sano

Certo è che questo accade nel momento in cui il microbiota è in eubiosi. La presenza di un disequilibrio intestinale, ovvero di alcuni batteri opportunisti, può al contrario favorire l’infezione e lo sviluppo di una patologia. Non è un caso se gli anziani sono molto più sensibili alle infezioni, in quanto con l’età anche il microbiota tende a diventare sbilanciato o disbiotico. E non si parla solo di batteri intestinali: specie isolate nel tratto naso-faringeo come Staphylococcus aureus, Pseudomonas sp., Streptococcus pneumonia, Haemophilus influenzae e Streptococcus pyogenes, sono state associate con un tasso di mortalità più elevato in adulti e bambini con influenza.

Come aiutare il microbiota ad aiutarci

Come proteggersi? Aiutando il proprio microbiota ad essere più sano e bilanciato. E lo strumento più forte che abbiamo a disposizione per tale scopo è la dieta. Gli alimenti che non assorbiamo, infatti, finiscono nel colon e influenzano le popolazioni microbiche e le molecole da loro prodotte, le quali a loro volta possono contribuire alla resistenza ai patogeni modulando l’integrità della barriera intestinale. Ad esempio una dieta bilanciata in grassi saturi, poli- e monoinsaturi, fibre, proteine e limitata in carboidrati semplici ed altre molecole può aiutare a instaurare l’omeostasi intestinale proteggendola dagli attacchi esterni. Come? Lo vedremo nelle prossime puntate.

A presto!

 

Eleonora Sattin, PhD
Responsabile Servizio Microbioma Italiano di BMR Genomics


Diet-Microbe-Host Interactions That Affect Gut Mucosal Integrity and Infection Resistance

Virus and microbiota relationships in humans and other mammals: An evolutionary view

The Commensal Microbiota and Viral Infection: A Comprehensive Review

Una mela al giorno toglie il medico di torno?

Non sempre e non a tutti…

E’ quanto ci siamo detti nell’ultimo articolo del nostro blog, dove abbiamo iniziato a conoscere i FODMAPs (Fermentable Oligosaccharides, Di- and Monosaccharides, And Polyols) e alcuni degli alimenti che li contengono in maggiore quantità. 

Abbiamo anche visto che i FODMAPs sono dei prebiotici che possono promuovere il benessere del nostro intestino, andando a nutrire determinate specie batteriche che vi “abitano”. Tuttavia, alcune persone risultano particolarmente sensibili a questi composti, riportando svariati disturbi a livello intestinale in seguito all’ingestione di alimenti che ne sono particolarmente ricchi.

Ma perchè accade questo?

Provate a pensare, quale potrebbe essere la conseguenza diretta del lieto banchetto dei batteri con i FODMAPs? Ma certo! La loro rapida fermentazione, lo dice anche il nome, e questa porta alla produzione di gas che, se eccessiva, può causare gonfiore, flatulenza, diarrea e/o costipazione.

A ciò si aggiunge il fatto, meno ovvio, che i FODMAPs (in particolare il fruttosio, il lattosio e i polioli) sono molecole di piccole dimensioni e, durante il tempo in cui permangono nel nostro intestino tenue, richiamano acqua per osmosi. Questo effetto determina la distensione dell’intestino che, nei soggetti più sensibili, viene avvertita come dolore addominale e gonfiore.

Piacevole? Non proprio.

Lo sanno bene i pazienti a cui è stata diagnosticata la cosiddetta Sindrome da Intestino Irritabile (IBS).

Proprio per aiutare questi pazienti nella gestione dei disturbi intestinali, i ricercatori della Monash University a Melbourne, in Australia, hanno sviluppato la cosiddetta Low FODMAPs diet (LFD), ovvero un regime alimentare controllato che prevede un’iniziale riduzione dell’assunzione di cibi ad alto contenuto di FODMAPs, sostituiti da alternative con un contenuto più basso, e una loro successiva re-introduzione graduale. Lo scopo di questa dieta è quello di ridurre i sintomi che i pazienti con IBS avvertono, ma soprattutto individuare quei cibi che li scatenano e la soglia individuale di tolleranza, molto variabile tra persone diverse.

L’approccio LFD attualmente risulta efficace nel miglioramento dei sintomi intestinali e della qualità della vita nel 52–86% dei pazienti che soffrono di IBS e si sta valutando la sua potenziale applicazione anche nel trattamento della Sensibilità al Glutine Non Celiaca (NCGS) e in altre sindromi con sintomi gastro-intestinali e non solo.

Ma possiamo intraprendere da soli una dieta di questo tipo?

La risposta è no.

Una dieta Low FODMAPs va intrapresa sempre e solo sotto la guida di un professionista del settore, per un periodo di tempo limitato ed evitando l’esclusione di intere categorie di alimenti, per non incorrere in carenze nutrizionali importanti e compromettere la salute del nostro intestino.

E i casi che non rispondono a questa dieta? Diversi studi dimostrano che ancora una volta il microbiota intestinale ha un ruolo nel determinare l’efficacia di questo approccio.

Non c’è da stupirsi, vero?

Noi di Microbioma Italiano lo sappiamo bene e per questo motivo abbiamo integrato il nostro nuovo report Evo con l’analisi del potenziale del microbiota nella fermentazione dei FODMAPs. Il risultato del test fornisce un’indicazione su quale classe di alimenti assumere con maggiore attenzione poichè potrebbe risvegliare la voracità dei batteri intestinali.

Ho sperimentato questa analisi anche su me stessa e nei prossimi mesi vi racconterò come è andata.

A presto per parlare ancora di microbiota e nutrizione!

Ilena Li Mura, PhD

 


 

Low-FODMAP Diet for Irritable Bowel Syndrome: What We Know and What We Have Yet to Learn. Liu J et al 2020; Annual Review of Medicine.
Low FODMAP Diet: Evidence, Doubts, and Hopes. Bellini et al 2020; Nutrients.