IBD e alimentazione funzionale: il successo dipende dal microbiota
Quando i nutrizionisti dicono la frase “sei quello che mangi”, effettivamente è molto azzeccata, specialmente quando si parla del legame tra alimentazione, microbiota e patologie. Ma perché?
E’ sempre più chiaro che la dieta sia uno dei fattori principali ad influire sulla struttura dei nostri batteri intestinali. Infatti, come noi umani, ogni batterio ha le sue preferenze in fatto di cibi: c’è il batterio che ama maggiormente gli zuccheri, quello che adora le fibre, o ancora quello che fa scorpacciate di tutte le proteine che trova.
Se mangiamo male ci facciamo male
Questo comporta che a seconda degli alimenti che mangiamo, facciamo sviluppare i batteri che sanno utilizzarli al meglio per crescere. Pertanto pensate allo stile di vita tipicamente occidentale “Western” (per intenderci lo stereotipo americano-fastfood-supersize-me), in cui gli alimenti sono molto calorici e poveri di nutrienti: che batteri pensate di far crescere? Proprio quelli “cattivi” che adorano grassi, zuccheri, particolari proteine e sono in grado di scomporli in molecole con proprietà infiammatorie. Pertanto i batteri cattivi si nutrono e crescono alimentati dalle nostre scelte a tavola, accumulando molecole dannose giorno per giorno.
Non è un caso se l’incidenza dell’IBD, che comprende patologie infiammatorie, sia aumentata nei paesi che hanno acquisito una dieta di tipo occidentale.
Che nutrienti piacciono ai batteri cattivi?
Se volete far crescere batteri dannosi e pro-infiammatori tipici dell’IBD potete adottare un’alimentazione sbilanciata verso alimenti ricchi di:
- Grassi, specialmente un abuso di ⍵-6-PUFA (omega 6 acidi grassi polinsaturi, in olio di mais, girasole, soia) rispetto agli ⍵-3-PUFA (omega 3 acidi grassi polinsaturi, in noci, semi di girasole, canapa, mandorle) e i trigliceridi a catena lunga (grassi animali e vegetali)
- Proteine animali da carne e pesce. La degradazione di proteine ed amminoacidi porta all’accumulo di molecole ossidanti, carcinogeniche e che danneggiano lo strato di muco intestinale.
- Carboidrati, principalmente lattosio e fruttosio. L’osservazione dipende dal fatto che il malassorbimento del fruttosio e l’intolleranza al lattosio sono molto correlate con l’IBD.
- Additivi come carragenina, maltodestrine, emulsionanti, dolcificanti non calorici, coloranti che possono indurre disbiosi, modificare la funzionalità della barriera intestinale e distruggere lo strato di muco che protegge la parete intestinale.
Il consumo abituale di questi componenti alimentari, associato ad una bassa assunzione di fibre, correla fortemente con l’insorgenza dell’IBD. Certamente la genetica è importante ma l’alimentazione sbilanciata ci mette del suo per peggiorare la situazione (ne avevamo già parlato qui).
Alimentazione funzionale (e funzionante)
Dato che la dieta è uno dei fattori che possono rimodulare in modo radicale e duraturo il microbiota intestinale, diversi gruppi di ricerca hanno studiato l’impatto di differenti regimi alimentari sulla remissione dell’IBD. Alcune diete interessanti hanno dato dei risultati incoraggianti, altre meno.
- dieta low-FODMAPs: ne avevamo già parlato qui. Generalmente nel 30% dei casi di IBD la sintomatologia intestinale viene migliorata assieme alla qualità della vita. Non è tuttavia chiaro come questa dieta impatti sull’infiammazione cronica.
- dieta senza glutine: lo 0,6% dei pazienti con IBD viene diagnosticato con celichia e il 4,9% soffre di Sensibilità al Glutine Non Celiaca (NCGS, ne avevamo parlato qui). L’eliminazione di tutti i cereali contenenti glutine (grano, segale, orzo, farro, etc) non dà una significativa differenza nella remissione dei sintomi ma modifica il microbiota in termini di variabilità in specie batteriche.
- dieta mediterranea: è la dieta antinfiammatoria per eccellenza grazie all’alta quantità di fibre e omega-3 che richiede di assumere (ne avevamo già parlato qui). Tali fibre vengono degradate da batteri buoni e producono acidi grassi a catena corta (SCFA), specialmente butirrato che è una molecola super antinfiammatoria. Questa dieta è sconsigliata in fase acuta della patologia ma diventa fondamentale per mantenere lo stato di remissione dei sintomi.
Quale dieta scegliere?
Questi sono solo alcuni esempi di alimentazione funzionale ma ce ne sono molti altri. Quindi quale scegliere? La risposta è: dipende. Anche la gettonata dieta low-FODMAPs funziona in ⅓ dei casi mentre il resto dei pazienti è refrattario. Perché? Purtroppo, dato che il microbiota è specifico per ogni persona, un unico approccio nutrizionale non va bene per tutti ma deve essere personalizzato. Ne consegue che anche il nutrizionista a volte deve procedere per tentativi.
La ricerca è ancora agli inizi per poter prevedere con precisione una dieta personalizzata sulla base del microbioma ma ci si sta arrivando. Attualmente è comunque interessante avere a disposizione un prospetto sullo stato del microbiota in quanto, assieme all’anamnesi del paziente, può aiutare lo specialista a decidere una strategia nutrizionale personalizzata.
Alla prossima!
Eleonora Sattin, PhD
Responsabile Microbioma Italiano a BMR Genomics