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Mangia l’arcobaleno

“Eat the rainbow”, letteralmente “mangia l’arcobaleno”, è il mantra che viene ripetuto ai pazienti ricoverati per depressione presso la Facoltà di Medicina di Graz, in Austria.

Questa espressione, facile da memorizzare e dal significato immediato, viene utilizzata per spiegare ai pazienti le basi della dieta mediterranea.

Ma perchè la dieta mediterranea dovrebbe apportare dei benefici a chi soffre di disturbi dell’umore come ansia e depressione?

Nell’ ultimo articolo del nostro blog vi avevamo anticipato qualcosa, oggi ne parleremo più approfonditamente.

I modelli dietetici “sani” per il benessere mentale

Lo stile di alimentazione mediterraneo rappresenta un modello di nutrizione “di alta qualità”, così come la dieta giapponese, la dieta norvegese, la dieta vegetariana e la cosiddetta dieta DASH (Dietary Approach to Stop Hypertension), ovvero la dieta volta al controllo dell’ipertensione.

Applicando questi modelli alimentari a diversi gruppi di pazienti con disturbi dell’umore è emersa una correlazione significativa con il miglioramento di sintomi quali rabbia, depressione, ansia, tensione, fatica, stress e punteggio globale POMS (Profile Of Mood States), un test utilizzato per rilevare i disturbi del tono dell’umore.

Cosa hanno in comune questi regimi alimentari?

Si tratta di stili di alimentazione caratterizzati da un elevato apporto di frutta e verdura, cereali non raffinati, legumi, noci, semi oleosi, pesce, prodotti fermentati e caseari a ridotto contenuto di grassi e, per contro, un limitato consumo di carne rossa, alimenti processati e zuccheri aggiunti.

Gli alimenti che tali diete prediligono sono ricchi in nutrienti come acidi grassi polinsaturi omega-3, magnesio, zinco, selenio, vitamine, in particolare B, E, C, D e polifenoli, che possono influenzare l’insorgenza e il decorso di disturbi dell’umore.

Diversi studi hanno evidenziato specifiche carenze di questi nutrienti nei pazienti che soffrono di depressione o che presentano un elevato rischio di incorrere in episodi depressivi.

Un altro dato interessante deriva da uno studio che ha messo a confronto una dieta ad alto carico glicemico con una a basso carico glicemico.

Il carico glicemico è un parametro che valuta l’impatto di un dato alimento sul livello di glucosio nel sangue (glicemia), in base alla tipologia e alla quantità di carboidrati in esso contenuti.

Dallo studio è emerso che i soggetti che avevano seguito una dieta a basso carico glicemico avevano riportato un miglioramento di depressione, ansia, fatica, confusione e tono generale dell’umore, rispetto al gruppo di pazienti che aveva seguito una dieta ad alto carico glicemico.

In che modo il cibo influenza il nostro stato mentale?

A livello fisiologico non sono ancora noti nel dettaglio i meccanismi attraverso i quali la nostra alimentazione possa avere un effetto sui sintomi di ansia e depressione, ma sono state proposte diverse ipotesi plausibili.

Determinati macro e micronutrienti presenti negli alimenti, quali acidi grassi, vitamine, minerali, polifenoli e flavonoidi possono influenzare la produzione e l’attività di neurotrasmettitori come la serotonina, lo stress ossidativo e lo stato di infiammazione, anche, ma non solo, attraverso effetti diretti e indiretti sul Microbiota intestinale.

Gli omega-3

Il nostro cervello è un organo ricco in lipidi, vale a dire grassi. La corretta proporzione tra acidi grassi saturi (SFAs) e acidi grassi polinsaturi (PUFAs), in particolare gli omega-3 DHA (acido docosaesaenoico) ed EPA (acido eicosapentaenoico) e l’omega-6 acido arachidonico, è fondamentale per la funzionalità del tessuto neuronale. 

Un aumento di SFAs, ad esempio, diminuisce la fluidità e la permeabilità delle membrane cellulari e un rapporto sbilanciato tra omega-3 e omega-6 può aumentare l’infiammazione a livello sistemico e neuronale.

La dieta “occidentale” è caratterizzata tipicamente da un apporto eccessivo di acidi grassi saturi e da uno squilibrio nel rapporto tra acidi grassi omega-3 e omega-6 a favore di questi ultimi.

Gli acidi grassi omega-3, in particolare l’EPA, hanno proprietà anti-infiammatorie note e la depressione è caratterizzata da un aumento dello stato di infiammazione dell’organismo. Ricerche sui topi suggeriscono che l’azione anti-infiammatoria degli omega-3 potrebbe essere dovuta al suo effetto sul Microbiota intestinale.

Inoltre, da studi recenti, è emerso che il consumo di acidi grassi omega-3 potrebbe aumentare la produzione di una proteina chiamata BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor) presente nel cervello, dove svolge un ruolo nel differenziamento, nella crescita e nel mantenimento dei neuroni e questo potrebbe avere un impatto benefico sull’umore.

Dati epidemiologici hanno dimostrato che la supplementazione con omega-3 (1,5-2 gr di EPA al giorno) è efficace nel trattamento della depressione, come supporto alla terapia convenzionale.

Vitamine e oligoelementi

Non c’è da sorprendersi che anche le vitamine siano essenziali per l’attività del sistema nervoso.

In particolare, nei pazienti depressi è ricorrente una carenza di acido folico (vitamina B9) e di vitamina D. Un elevato consumo di vitamina D, in particolare attraverso il pesce, è una caratteristica della dieta mediterranea.

Tra i minerali, lo zinco sembra giocare un ruolo importante nell’insorgenza dei disturbi dell’umore.

Lo zinco è un oligoelemento essenziale coinvolto in diversi processi cellulari, come la risposta immunitaria, la regolazione ormonale e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Una carenza di zinco potrebbe contribuire all’insorgenza dei sintomi depressivi attraverso l’attivazione di processi infiammatori e modificazioni del recettore NMDA (N-metil-D-aspartato), presente sulla membrana delle cellule nervose e fondamentale per le funzioni neuronali.

Le fibre

Un’altra “variabile” nutrizionale che ha un effetto sui sintomi di ansia e depressione è la fibra, intesa come quantità totale e tipologia di fibra assunta.

Le diete con un elevato contenuto di fibre (27-30 gr al giorno), in particolare da vegetali e cereali integrali, sono associate a una probabilità ridotta di circa il 40% di sviluppare sintomi di depressione, mentre una dieta ricca di zuccheri e cereali raffinati è associata a un’aumentata incidenza di disturbi dell’umore.

I fitochimici

Il mondo vegetale è anche una fonte di polifenoli, composti chimici sintetizzati dalle piante (fitochimici) per proteggerle dai patogeni. I polifenoli aumentano i livelli di serotonina nel cervello, la produzione di BDNF e riducono l’infiammazione e questo potrebbe spiegare in parte il loro effetto positivo sul tono dell’umore.

D’altra parte, i polifenoli agiscono da prebiotici e la loro azione sul sistema nervoso potrebbe essere dovuta anche ai metaboliti secondari che derivano dal loro utilizzo da parte del Microbiota intestinale.

In sintesi quindi…

Una dieta varia e colorata, che includa una quantità elevata di frutta e verdura di stagione, carboidrati complessi, proteine magre, in particolare dal pesce, legumi, semi oleosi, frutta secca, può contribuire al nostro benessere mentale, oltre a essere un importante strumento di prevenzione per svariate malattie.

Mangiamo a colori, mangiamo l’arcobaleno!

Ilena Li Mura, PhD

Biologa Nutrizionista

 


Bibliografia

Feeding melancholic microbes: MyNewGut recommendations on diet and mood.

The association between diet and mood: A systematic review of current literature.

The Role of Nutrition and the Gut-Brain Axis in Psychiatry: A Review of the Literature.

The Role of the Gut Microbiota in Dietary Interventions for Depression and Anxiety.

 

Il Microbiota e la fabbrica di vitamine

Mi ha sempre affascinato l’origine e la storia delle parole, quella che in linguistica si chiama etimologia.

Dentro a una parola si può racchiudere la sua essenza.

Constato spesso con stupore come poche lettere, sapientemente scelte, riescano a trasmettere il senso profondo di un concetto.

Oggi parliamo di vitamine e sono certa che ciascuno di voi abbia in mente qualcosa di fondamentale, di vitale.

Lo dice la parola stessa, ci avete mai fatto caso?

Vitamina: “ammina di vita, ammina vitale”

Le vitamine sono micronutrienti vitali in quanto sono indispensabili per il nostro organismo, stati di carenza possono causare diversi disturbi o malattie e comportano sintomi specifici, a seconda del tipo di vitamina.

Sono definite micronutrienti poichè per i nostri fabbisogni sono necessarie in piccole quantità (milligrammi o microgrammi), sebbene svolgano funzioni molto importanti per l’organismo, intervenendo nella produzione di enzimi, ormoni e altre sostanze che aiutano a regolare la crescita, l’attività, lo sviluppo e il funzionamento dei sistemi immunitario e riproduttivo.

Chi produce le vitamine?

L’organismo umano non è in grado di produrre autonomamente la maggior parte delle vitamine che, di conseguenza, devono essere introdotte dall’esterno, principalmente con gli alimenti. Uniche eccezioni sono la vitamina D, che può essere sintetizzata a partire dal colesterolo se la pelle è esposta ai raggi UV-B della luce solare, e la niacina (vitamina B3 o PP) che può essere sintetizzata a partire dall’amminoacido triptofano.

Gli alimenti sono la fonte principale di vitamine, tuttavia anche il Microbiota intestinale può dare il suo contributo, non c’è da stupirsi vero?

Alcune specie batteriche probiotiche, in particolare bifidobatteri (es Bifidobacterium adolescentis) e batteri lattici (es Lactococcus lactis, Lactobacillus gasseri, Lactobacillus reuteri, Lactobacillus rhamnosus), sono in grado di sintetizzare la vitamina K e svariate vitamine del gruppo B, quali cobalamina (vitamina B12), acido folico (vitamina B9), tiamina (vitamina B1), piridossina (vitamina B6), riboflavina (vitamina B2).

La Vitamina “anti-emorragica”

La vitamina K comprende una famiglia di vitamine con un ruolo importantissimo nel processo di coagulazione del sangue ed esiste in natura principalmente in due forme: K1 o fillochinone, presente negli alimenti di origine vegetale, in particolare nelle verdure a foglia verde, e K2 o menachinone, presente negli alimenti di origine animale e prodotta dal microbiota intestinale a partire dal fillochinone.

Recenti evidenze dalla letteratura scientifica suggeriscono che alcuni menachinoni prodotti dai batteri possano avere caratteristiche uniche, tra cui proprietà anti-infiammatorie, e biodisponibilità e bioattività superiori rispetto ai fillochinoni.

Di conseguenza, anche basse quantità di vitamina K2 prodotta dai batteri intestinali potrebbero avere un impatto significativo sulla salute dell’ospite.

Le Vitamine “energetiche”

Se la vitamina K può essere definita la vitamina “anti-emorragica”, le vitamine del gruppo B sono le “vitamine energetiche”, sebbene intervengano anche in molti altri processi, come lo sviluppo e le funzioni delle cellule del sistema immunitario.

La maggior parte delle vitamine del gruppo B è coinvolta nel metabolismo energetico delle cellule, cioè in quell’insieme di reazioni biochimiche che permettono alle cellule di ricavare energia dagli alimenti, immagazzinandola sotto forma di ATP (adenosin-tri-fosfato), la molecola che funge da “moneta di scambio” dell’energia a livello cellulare.

Ciascuna di queste reazioni metaboliche richiede la presenza di un enzima specifico, una proteina che agisce da catalizzatore, così che la reazione possa avvenire a una velocità compatibile con la vita. Per svolgere la loro funzione, alcuni enzimi necessitano della presenza di altre molecole, i cosiddetti cofattori, senza cui rimarrebbero in uno stato inattivo.

Le vitamine del gruppo B agiscono come cofattori enzimatici nelle reazioni metaboliche coinvolte nella produzione di energia.

I batteri commensali dell’intestino possono influenzare il metabolismo energetico del loro ospite attraverso la produzione di metaboliti “energetici”, tra cui le vitamine del gruppo B.

Più energia quindi meno fatica?

La relazione tra microbiota intestinale, i suoi metaboliti e la fatica non è del tutto chiara.

Tuttavia, alcuni studi recenti condotti sulla sindrome da fatica cronica hanno suggerito un possibile ruolo della disbiosi intestinale nella patogenesi di tale disturbo.

La sindrome da fatica cronica è caratterizzata dalla persistenza di sintomi quali affaticamento, dolore muscolare, mal di testa, disturbi gastrointestinali, malessere post-sforzo e la sua eziologia non è ancora nota.

L’analisi del Microbiota intestinale nei pazienti affetti da questo disturbo ha rivelato, rispetto ai soggetti sani, una minore diversità tra specie batteriche, un aumento delle specie pro-infiammatorie, quali Proteobatteri e Prevotella, e una diminuzione delle specie anti-infiammatorie, in particolare Faecalibacterium prausnitzii e Bifidobatteri.

Approcci terapeutici volti a modificare la composizione del microbiota intestinale potrebbero essere uno strumento per controllare lo sviluppo e/o la progressione della sindrome.

Un intestino sano può darci una vera e propria carica di energia?

Sembra proprio di si!

Ilena Li Mura, PhD

Biologa Nutrizionista


Beneficial effects on host energy metabolism of short-chain fatty acids and vitamins produced by commensal and probiotic bacteria.

Biosynthesis of Vitamins by Probiotic Bacteria.

Reduced diversity and altered composition of the gut microbiome in individuals with myalgic encephalomyelitis/chronic fatigue syndrome.

Fecal concentrations of bacterially derived vitamin K forms are associated with gut microbiota composition but not plasma or fecal cytokine concentrations in healthy adults.