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Microbiota e tumore al colon

Abbiamo visto come il microbiota intestinale sia implicato nell’insorgenza, nell’esacerbazione o, al contrario, nella remissione dei sintomi di diverse patologie, sia intestinali che sistemiche. Detto questo, una domanda sorge spontanea: il microbiota potrebbe avere un ruolo nell’insorgenza di una delle patologie più gravi che colpiscono il tessuto intestinale, ossia il tumore al colon-retto?

Questo tipo di tumore è il secondo in Italia tra quelli più frequentemente diagnosticati (il primo è il tumore al seno) e, purtroppo, sempre il secondo come causa di morte (il primo è quello al polmone). E’ più frequente negli uomini che nelle donne (1 caso su 13 rispetto ad 1 su 21) ma negli ultimi anni si sta fortunatamente assistendo ad una riduzione dei casi per entrambi i sessi.

Dato l’impatto di questa neoplasia, le ricerche su di essa e sull’ambiente che la circonda sono molto approfondite: ne deriva che anche l’associazione microbiota-tumore al colon sia molto studiata.

Causa o effetto?

Come per le altre patologie che dipendono da un mix di genetica, ambiente, fattori endogeni e microbiota, capire se un microbiota sbilanciato sia una causa o una conseguenza della malattia non è per niente facile. Infatti i meccanismi con cui un microbiota sbilanciato potrebbe influire sull’insorgenza del tumore al colon sono diversi anche se non ancora del tutto chiariti. Una prima attività pro-oncogenica riguarderebbe i metaboliti prodotti dal microbiota: molecole infiammatorie, ossidanti o tossiche per le cellule che potrebbero danneggiarsi e mutare. In secondo luogo un microbiota patogenico potrebbe legarsi alle cellule, invadere il tessuto e traslocare fuori dal lume intestinale. In questa area potrebbe attivare il sistema immunitario che a sua volta danneggerebbe il tessuto e così via. Ma tutti i batteri patogeni e tutte le disbiosi possono aumentare il rischio di cancro al colon?

Alcuni dei colpevoli sono noti

All’interno di un microbiota sbilanciato, alcuni indiziati batterici sono particolarmente noti ai ricercatori. Tra questi il famoso Fusobacterium nucleatum è il batterio più comunemente presente in casi di tumore al colon e pertanto ormai è considerato quasi un marcatore di patologia. È un batterio pro-infiammatorio e la sua presenza (associata ad altri fattori di rischio genetici) aiuta a far proliferare le cellule neoplastiche e a inibire una difesa immunitaria anti tumorale. Non è comunque l’unico. Le Peptostreptococcaceae, E. coli tossigenico, persino batteri orali come la Porphyromonas gingivalis sono spesso correlati con l’insorgenza del tumore al colon.

Stile di vita e alimentazione prima difesa

Possedere tali batteri nel proprio microbiota intestinale tuttavia non implica che la patologia insorga necessariamente. Sono un fattore di rischio ma, come ben sappiamo, un microbiota disbiotico può essere modulato tramite uno stile di vita attivo e un’alimentazione sana. Infatti, diversi studi hanno dimostrato che uno stile di vita poco attivo e un indice di massa corporea alto sono altamente correlati all’insorgenza del tumore al colon. Tali fattori di rischio tendono a promuovere uno stato infiammatorio e ad impoverire il microbiota di batteri produttori dei benefici acidi grassi a corta catena. Al contrario uno stile di vita attivo, un basso indice di massa grassa e sicuramente un’alimentazione bilanciata, ricca in fibre (frutta, verdura, grani) e grassi buoni (pesce, grassi vegetali) promuovono la crescita di batteri benefici e proteggono dall’insorgenza del tumore al colon (come di molti altri tumori).

Non possiamo cambiare i nostri geni ma possiamo aiutarli con diverse strategie, a partire dalle scelte che facciamo a tavola e di conseguenza da come trattiamo il nostro piccolo grande tesoro batterico che abbiamo in pancia.

La ricerca ci sta aiutando a capire come fare. Aiutiamo la ricerca.

Alla prossima!

Eleonora Sattin, PhD

P.S.

Visitate l’iniziativa del collega bioinformatico Dr. Benvenuto per sostenere la raccolta fondi AIRC al seguente link.


https://www.epicentro.iss.it/tumori/pdf/NC2019-operatori-web.pdf

Dominik Ternes, Jessica Karta, Mina Tsenkova, Paul Wilmes, Serge Haan, Elisabeth Letellier.
Microbiome in Colorectal Cancer: How to Get from Meta-omics to Mechanism? (2020) Trends in Microbiology DOI:https://doi.org/10.1016/j.tim.2020.01.001

Song M, Chan AT, Sun J. Influence of the Gut Microbiome, Diet, and Environment on Risk of Colorectal Cancer. Gastroenterology. 2020 Jan;158(2):322-340. doi: 10.1053/j.gastro.2019.06.048. Epub 2019 Oct 3. PMID: 31586566; PMCID: PMC6957737.

De Almeida, C. V., de Camargo, M. R., Russo, E., & Amedei, A. (2019). Role of diet and gut microbiota on colorectal cancer immunomodulation. World journal of gastroenterology, 25(2), 151–162. https://doi.org/10.3748/wjg.v25.i2.151

Sánchez-Alcoholado, L., Ramos-Molina, B., Otero, A., Laborda-Illanes, A., Ordóñez, R., Medina, J. A., Gómez-Millán, J., & Queipo-Ortuño, M. I. (2020). The Role of the Gut Microbiome in Colorectal Cancer Development and Therapy Response. Cancers, 12(6), 1406. https://doi.org/10.3390/cancers12061406

 

Psoriasi: lo squilibrio dell’asse intestino-pelle

“Puliti dentro, belli fuori.” recita una nota pubblicità. Probabilmente gli autori di questo slogan non potevano immaginare che la scienza del microbiota avrebbe dato loro ragione, ovviamente mutatis mutandis.

C’è un forte legame tra dentro e fuori

Il microbiota intestinale non è un tessuto a sé stante che controlla solo la funzionalità di se stesso e degli organi in cui vive ma influenza anche altre parti del corpo umano. Infatti lo abbiamo visto interagire con il cervello (asse intestino-cervello), oppure intervenire in patologie sistemiche come il diabete: perché non potrebbe influire anche su uno dei tessuti più visibili del nostro corpo ovvero la pelle?

Eppure sembrerebbero così distanti.. In realtà non è così: il microbiota intestinale produce svariate molecole segnale che intervengono ad ampio spettro sul benessere della pelle. Infatti i nostri abitanti intestinali regolano, tra le altre cose, anche il sistema immunitario sottocutaneo, la proliferazione delle cellule della pelle (i cheratinociti), e la rigenerazione cellulare e tissutale ad esempio dopo una ferita. Pertanto, in un certo senso, se siamo “belli dentro” (= in eubiosi o equilibrio intestinale) molto probabilmente siamo anche “belli fuori” (= in omeostasi tissutale, la pelle funziona correttamente). In altre parole siamo di fronte all’equilibrio dell’asse intestino-pelle.

E se l’equilibrio si rompe?

Molte patologie sistemiche o autoimmuni presentano uno stato di squilibrio intestinale che si auto alimenta in un circolo vizioso di disbiosi, infiammazione e distruzione della barriera intestinale in cui causa ed effetto sono spesso sovrapposte. E’ la barriera intestinale danneggiata che induce infiammazione e disbiosi o viceversa? Un po’ entrambe. Ad ogni modo tale condizione favorisce il passaggio di molecole infiammatorie batteriche nel sangue che, nel suo percorso, arriva anche al derma.

Nelle persone predisposte, questo accumulo di segnali “intestinali” induce le cellule immunitarie sottocutanee a produrre molecole infiammatorie che attivano i cheratinociti a proliferare esageratamente. Questo causa ispessimento della pelle che può rompersi per motivi meccanici. Il microbiota della pelle a questo punto diventa fondamentale perché la sua composizione può influenzare positivamente o negativamente la guarigione della lesione. 

La psoriasi è una patologia da “esposoma”

Quanto descritto sopra è il tipico scenario che accade nella psoriasi, una dermatosi cronica infiammatoria mediata dal sistema immunitario che dipende da moltissimi fattori interni ed esterni (esposoma). Genetica, stile di vita, alcuni medicinali, obesità, fumo, infezioni, stress, sembrano essere fortemente correlati all’insorgenza della patologia. Si presenta con chiazze di pelle ispessita e soggetta ad una forte desquamazione, fino a provocare lesioni cutanee.

In molti casi la psoriasi è diagnosticata insieme ad altre patologie che sono anch’esse collegate con una modulazione sbilanciata del sistema immunitario, un livello esagerato di infiammazione sistemica e disbiosi con danno alla barriera intestinale. Infatti ad esempio il 7%-11% di persone con IBD ha diagnosi di psoriasi e spesso obesità, ipertensione o diabete di tipo 2 dimostrano comorbidità con la psoriasi.

In tutte queste patologie il tipo di disbiosi è un po’ diverso e spesso non sempre chiaro tra i diversi studi, tuttavia ciò che è noto è in tali patologie alcuni batteri probiotici e benefici tendono a diminuire. Uno su tutti il Faecalibacterium prausnitzii, che produce molecole antinfiammatorie e regolatorie per il sistema immunitario, è tipicamente impoverito.

Curare l’intestino per curare la pelle?

Antibiotici, probiotici, trapianto fecale sono in test per migliorare la patologia utilizzando come target l’intestino. Ad esempio, diversi studi hanno testato l’efficacia di alcuni probiotici sul riequilibrio dell’asse intestino-pelle, come il Bifidobacterium infantis 35,624 e il Lactobacillus pentosus GMNL-77 che hanno ridotto i livelli di infiammazione sistemica e attenuato i sintomi della psoriasi. Nondimeno il trapianto fecale, come per l’IBD, è una strategia che sembra molto promettente per abbassare l’infiammazione sistemica.

E che dire dell’alimentazione? Sappiamo che è uno degli strumenti più comuni a disposizione per contrastare la disbiosi e l’infiammazione. Non a caso, tra le altre, la dieta mediterranea ricca in antiossidanti, omega-3, vitamine ed oligoelementi è un ottimo coadiuvante nella terapia di una patologia infiammatoria sistemica come la psoriasi.

Forse un po’ lo potevamo immaginare?! 😉

Alla prossima!

Eleonora Sattin, PhD


Atiya Rungjang et al. (2020). Skin and Gut Microbiota in Psoriasis: A Systematic Review

Giovanni Damiani et al. (2020). Gut microbiota and nutrient interactions with skin in psoriasis: A comprehensive review of animal and human studies. World J Clin Cases

Mariusz Sikora et al (2020). Gut Microbiome in Psoriasis: An Updated Review. Pathogens

Dalal I. Alesa et al. (2019). The role of gut microbiome in the pathogenesis of psoriasis and the therapeutic effects of probiotics. J Family Med Prim Care.

Hsu et al. (2020). Role of skin and gut microbiota in the pathogenesis of psoriasis, an inflammatory skin disease. Medicine in Microecology

Microbiota e Diabete

In vista della giornata mondiale del diabete, il 14 novembre 2020, noi di Microbioma Italiano abbiamo voluto fare un piccolo excursus sul forte legame tra microbiota intestinale e questa patologia sempre più comune. Un legame da cui è possibile trarre molti insegnamenti e benefici.

Il diabete è una patologia che può insorgere nei bambini e negli adolescenti per motivi genetici, virali o di stress (si parla allora di tipo 1). Tuttavia nel 90% dei casi può emergere anche in un soggetto adulto a causa di uno stile di vita sedentario, obesità, presenza di grasso viscerale, dieta povera di fibre e ricca in grassi saturi e zuccheri. La predisposizione genetica deve essere presente ma abitudini sbagliate sono il trigger principale del diabete di tipo 2.

Cosa vuol dire diabete?

Essere diabetici implica non essere in grado di gestire l’assunzione di zuccheri semplici o complessi. Questo accade perché l’insulina, l’ormone deputato alla gestione del metabolismo del glucosio, è carente oppure le cellule e i tessuti su cui agisce ne sono insensibili (insulino-resistenza). Solitamente nel diabete di tipo 2 c’è una combinazione di entrambe le cause. In queste condizioni, si ha un accumulo di glucosio nel sangue (iperglicemia) che, a cascata, provoca una diminuzione dell’assorbimento del glucosio nei muscoli e un aumento degli acidi grassi in circolo. Questi ultimi sembrano essere collegati all’aumento della secrezione di molecole infiammatorie e al danno a molteplici organi e tessuti. Di fatto nel diabete l’infiammazione è la causa principale delle complicazioni che possono insorgere nel lungo periodo, come patologie cardiovascolari, necrosi tissutale, perdita della vista, insufficienza renale etc. 

Microbiota e diabete

Quando si parla di infiammazione sistemica non si può non parlare di microbiota. Non è un caso se moltissimi studi abbiano rilevato un microbiota caratteristico della patologia diabetica. Il microbiota infatti modula l’infiammazione, interagisce con i nutrienti, influenza la permeabilità intestinale, il metabolismo del glucosio e lipidico, la sensibilità all’insulina e il bilancio energetico del corpo.

Diversi microbi intestinali possono promuovere un’infiammazione di basso grado o endotossiemia, tipica del diabete di tipo 2, e possono scalzare prepotentemente i batteri benefici. Batteri come Bifidobacterium, Bacteroides, Faecalibacterium, Akkermansia e Roseburia sono normalmente sottorappresentati nel microbiota dei diabetici mentre Ruminococcus, Fusobacterium e Blautia tendono ad aumentare. Il primo gruppo di batteri è normalmente considerato antinfiammatorio, produttore di butirrato e promotore di una bassa permeabilità intestinale. Inoltre, può avere attività inibitoria nei confronti di enzimi che degradano i carboidrati complessi, riducendo l’iperglicemia postprandiale. Al contrario, il secondo gruppo tende a favorire la produzione di molecole infiammatorie e a promuovere uno stato di alterata permeabilità intestinale.

Microbiota e farmaci 

Il microbiota residente può positivamente o negativamente influenzare l’attività e l’efficacia  dei farmaci utilizzati per curare il diabete. Non solo, alcuni batteri probiotici sono in sperimentazione per favorire la modifica del microbiota in senso “positivo”, per abbassare il grado di infiammazione sistemica e ristabilire il metabolismo normale del glucosio. B. lactis, B. animalis, L. plantarum, L. sakei, L. rhamnosus, sono tutti probiotici che hanno dimostrato diverse abilità nel management della patologia.

Prevenire è meglio

Ad ogni modo, sapendo che il diabete di tipo 2 è una patologia che dipende molto dalle nostre scelte, è certamente fondamentale prendere le decisioni giuste per quanto riguarda stile di vita e alimentazione. Eliminare la sedentarietà ed abbracciare uno stile di vita attivo sfavoriscono l’insulino-resistenza. Assumere alimenti ricchi di fibre e abbandonare la dieta tipicamente occidentale, che sta provocando un incremento di patologie come il diabete, sono sicuramente scelte positive per una saggia prevenzione. 

Anche monitorare il microbiota può essere uno strumento utile per verificare lo stato di disbiosi ed infiammazione sistemica. L’analisi Microbioma Italiano EVO può infatti in tal senso supportare lo specialista, anche nella definizione di una strategia nutrizionale ed integrativa ad hoc

Alla prossima!

Eleonora Sattin, PhD


Gurung et al (2020) Role of gut microbiota in type 2 diabetes pathophysiology, The Lancet

Wanping Aw and Shinji Fukuda (2018) Understanding the role of the gut ecosystem in diabetes mellitus. J Diabetes Investig

https://www.epicentro.iss.it/diabete/

Lunga vita al Microbiota

… o grazie al Microbiota?

Entrambe le cose, data la natura mutualistica della profonda e antica relazione tra batteri e umani.

Ma esiste una “firma” del Microbiota in termini di longevità?

E’ la domanda alla quale hanno cercato di rispondere diversi gruppi di ricerca, studiando quello che potrebbe essere definito il miglior modello di “invecchiamento di successo”: i centenari (99-104 anni d’età) e i semi supercentenari (105-109 anni d’età).

Rispetto agli ottuagenari e nonagenari appartenenti allo stesso gruppo, in termini di genetica e stile di vita, i centenari mostrano una più bassa incidenza di malattie croniche, bassi livelli di infiammazione cronica dovuta all’invecchiamento (inflammaging), assenza o ritardato esordio di deterioramento cognitivo, assenza di malattie neurodegenerative (Parkinson e Alzheimer), bassi livello di ansia e depressione.

Non male, vero?

Quella dei centenari appare, dunque, una condizione eccezionale e affascinante, in termini fisiologici e “filosofici”.

Rappresenta una miscela unica di forza e fragilità accumulate negli anni, che coesistono e sono il risultato della straordinaria capacità di questi soggetti di rispondere e adattarsi all’insieme degli stimoli “dannosi” che la vita comporta, come stress ossidativo, infiammazione ed esposizione a sostanze estranee tossiche, i cosiddetti xenobiotici.

Una bella metafora di resilienza, non trovate?

Disbiosi e “inflammaging”

Vi starete chiedendo quale potrebbe essere la formula dell’elisir di lunga vita. Le variabili in gioco sono molteplici e “il tutto è diverso dalla somma delle parti”, vale nella psicologia della Gestalt come anche in fisiologia.

Il Microbiota intestinale, in condizioni non disbiotiche, è una delle variabili che possono contribuire all’invecchiamento “in salute” dell’organismo umano, preservando nell’ospite l’omeostasi fisiologica e immunitaria, contrastando il processo di inflammaging, la permeabilità intestinale e il deterioramento della salute ossea e mentale.

E’ noto che la disbiosi intestinale favorisca uno stato di infiammazione a livello sistemico che, a sua volta, determina un aumento delle cosiddette specie reattive dell’ossigeno o radicali liberi,  coinvolti nell’insorgenza di numerose patologie e nell’invecchiamento.

In queste condizioni, i cosiddetti “patobionti”, come Enterobacteriaceae, Enterococcaceae, Staphylococcaceae, proliferano, a discapito di altre specie batteriche benefiche, in quanto sono microrganismi aerobi facoltativi, vale a dire che riescono a tollerare la maggiore disponibilità di ossigeno che caratterizza l’intestino infiammato, supportando condizioni pro-infiammatorie e alimentando un circolo vizioso infiammatorio che porta all’insorgenza di una serie di malattie tipiche dell’invecchiamento.

A tutto ciò va aggiunto il contributo della genetica, dello stile di vita e dei fattori ambientali.

Longevità, un patto con il Diavolo?

L’evidenza più interessante è emersa dal confronto delle comunità microbiche intestinali nei centenari e nei semi supercentenari rispetto a soggetti di altre classi di età appartenenti alla stessa popolazione di riferimento, in un range dai 22 ai 109 anni.

Questi studi hanno portato alla luce caratteristiche uniche dei centenari, in termini di composizione del Microbiota intestinale, rispetto al gruppo degli adulti giovani e degli anziani settantenni, suggerendo l’insorgenza di un profondo rimodellamento adattativo del Microbiota intestinale dopo 100 anni di associazione simbiotica con il suo ospite.

Più che scendere a patti con il Diavolo, quindi, i soggetti particolarmente longevi sembrano aver “rinegoziato il patto mutualistico” con il proprio Microbiota, cambiando, in parte, i partners batterici che supportano il loro stato di salute. 

In particolare, il Microbiota dei centenari mostra una più alta diversità in termini di composizione delle specie batteriche e una diminuzione di alcune specie produttrici di butirrato (Ruminococcus obeum, Roseburia intestinalis, Eubacterium ventriosum, Eubacterium rectale, Eubacterium hallii, Papillibacter cinnamovorans, Faecalibacterium prausnitzii), controbilanciata da un aumento di altre specie benefiche, quali Akkermansia muciniphila, Bifidobacterium longum, Eggerthella lenta, Christensenellaceae, associate a un basso indice di massa corporea e con proprietà antinfiammatorie e immunomodulanti. 

Un’altra interessante caratteristica del Microbiota dei centenari e in particolare dei semi supercentenari è la presenza di un maggior numero di geni microbici coinvolti della degradazione degli xenobiotici, probabilmente come risultato di un processo di adattamento funzionale all’esposizione continua e all’accumulo di queste sostanze tossiche nel corso della loro lunga vita. 

Invecchiare nei paesi industrializzati comporta anche questo.

In conclusione

I soggetti più longevi perdono alcune componenti caratteristiche del microbioma intestinale degli adulti, per acquisire una nuova salutare “ricchezza microbica”. 

Penso che sia questo, in fondo, il vero segreto dell’invecchiare bene, lasciar andare la vita adulta, così come si è abituati a viverla, per accogliere una nuova condizione di equilibrio, ad ogni livello, dal micro al macro-scopico.

PS: in copertina una mia foto delle Highlands scozzesi nella lontana estate 2010, un bel posto dove invecchiare 🙂

Ilena Li Mura, PhD

Biologa Nutrizionista


References

Gut microbiota changes in the extreme decades of human life: a focus on centenarians.

Shotgun Metagenomics of Gut Microbiota in Humans with up to Extreme Longevity and the Increasing Role of Xenobiotic Degradation

Il microbiota intestinale potrebbe predisporre al COVID-19

Era nell’aria già da un po’. Ma d’altronde come poteva non essere così?

In un articolo scientifico del 25 Aprile viene sottolineata l’importanza del legame tra microbiota intestinale e COVID-19. Purtroppo il paper non è ancora pubblicato pertanto non è stato ancora sottoposto a correzioni formali, le cosiddette peer review ma, con le opportune cautele, mostra già delle considerazioni molto interessanti.

Il gruppo di ricercatori che ha condotto lo studio è partito da un’idea molto semplice: la patologia COVID-19 nella sua forma peggiore mostra una reazione immunitaria esagerata. Questo porta l’organismo a predisporre uno stato infiammatorio inutilmente potente che, in un circolo vizioso, lo indebolisce e lo rende vulnerabile. Cosa accade nell’organismo dei pazienti infettati da SARS-CoV-2 e che sviluppano la sindrome acuta COVID-19? Possiamo predire se una persona si ammalerà di COVID-19 e quanto severamente? Possiamo prevenirlo?

Lo studio dell’infiammazione

I ricercatori hanno analizzato tutte le proteine presenti nel sangue di 31 persone infette. Hanno subito notato che all’aumentare di certe proteine aumenta il rischio di incorrere in una evoluzione severa di COVID-19. Chiameremo queste proteine “marcatori.

Oltre a queste, esistono alcune particolari proteine del sangue chiamate citochine che sono mediatori dell’infiammazione e allertano le cellule del sistema immunitario perché sfoderino le armi per combattere l’infezione. Sono come gli squilli di tromba che svegliano un intero esercito. All’aumentare dei “marcatori proteici aumentano anche le famose citochine infiammatorie, seguendo uno schema matematico. Applicando questo modello su persone sane, si è visto che uno schema molto simile era presente principalmente in persone adulte oltre i 58 anni. Riassumendo:

età = marcatori =  citochine =  probabilità di COVID-19 severa

Dice nulla? Probabilmente non è un caso se la sindrome respiratoria acuta COVID-19 insorge principalmente in persone adulte o anziane. La teoria dell’inflammaging sostiene da molti anni che l’invecchiamento corrisponde ad un accumulo di fattori infiammatori nell’organismo [ndr]. Pertanto la presenza di uno stato già di base infiammato in adulti e anziani potrebbe favorire quell’esplosione infiammatoria esagerata che avviene in presenza del SARS-CoV-2.

Ma che c’entra il microbiota?

Tramite l’analisi del microbiota, simile a quella che facciamo con Microbioma Italiano, i ricercatori hanno correlato la presenza di citochine infiammatorie con il microbiota dei soggetti sani. Gli scienziati hanno quindi evidenziato che l’abbondanza di determinati batteri era correlata alla presenza di particolari citochine infiammatorie. Ad esempio, Bacteroides, Streptococcus e i Clostridiales tendevano a diminuire mentre Ruminococcus, Blautia e Lactobacillus tendevano ad aumentare in presenza delle citochine. Questo fatto è un po’ curioso in quanto questi ultimi tre batteri sono notoriamente anti-infiammatori, tuttavia un loro aumento potrebbe avere altri significati [ndr]. 

Analizzando anche i metaboliti (le molecole prodotte dai batteri intestinali), i ricercatori hanno notato che erano molto rappresentate delle molecole che hanno a che fare con la costruzione di proteine che attivano l’infiammazione! In questo senso il microbiota intestinale potrebbe favorire il COVID-19 promuovendo la produzione di particolari proteine pro-infiammatorie. Che questo sia dovuto all’infezione o meno non è chiaro, ma sicuramente un’attività batterica sbilanciata in favore della produzione di proteine infiammatorie potrebbe aiutare l’insorgenza della patologia più severa.

Conclusioni

Che i batteri intestinali fossero coinvolti nelle risposte infiammatorie e nella protezione da infezioni, è cosa nota e ne avevamo già parlato. Tuttavia questi risultati potrebbero davvero essere utili. Infatti i marcatori batterici e molecolari individuati in questo lavoro potrebbero diventare dei target per sviluppare terapie o per definire metodi di predizione dell’evoluzione della patologia e bloccare la fase acuta.

D’altra parte i risultati dello studio sottolineano come il mantenimento dell’equilibrio del microbiota intestinale sia fondamentale e possa diventare anche una strategia parallela di cura durante un COVID-19, come hanno già proposto in Cina.

Ad ogni modo la ricerca continua.

 

Eleonora Sattin, PhD
Responsabile servizio Microbioma Italiano a BMR Genomics


Gut microbiota may underlie the predisposition of healthy individuals to COVID-19.

Inflammaging: a new immune–metabolic viewpoint for age-related diseases

Batteri del buonumore? Esistono e sono farmaci viventi

Vi siete mai sentiti arrabbiati, tristi, ansiosi oppure anche solo stanchi e svogliati dopo una terapia antibiotica? Tranquilli, è tutto normale. Questa reazione è solo uno dei diversi modi con cui il microbiota fa sentire che c’è e che ha qualcosa da ridire. Sì, perché se da una parte gli antibiotici sono fondamentali per curare un’infezione batterica, dall’altra possono colpire anche batteri intestinali benefici. Infatti se si assumono i cosiddetti antibiotici “ad ampio spettro”, ovvero non specifici per un determinato gruppo di microrganismi, questi farmaci uccidono un po’ tutti i batteri sensibili a quella molecola. Buoni o cattivi che siano.

Benefici batteri intestinali residenti

Abbiamo già parlato del ruolo che il microbiota ha nei confronti della nostra salute mentale, del nostro umore, della nostra socialità. Un microbiota equilibrato comunica con il nostro organismo in modo da fornire sostegno energetico, nutritivo, ormonale ed ottenere in cambio cibo e protezione. Tuttavia fattori esterni (come terapie antibiotiche protratte per lungo tempo) o interni (come l’età avanzata) possono modificare questi equilibri e sostenere la crescita incontrollata di batteri infiammatori. Tutto questo a discapito di quei batteri che, come degli ambasciatori, tentavano di favorire la civile convivenza tra microbiota e ospite. Batteri come le Lachnospiraceae, F. prausnitzii, A. muciniphila, i Bifidobatteri e i Lattobacilli, sono degli ambasciatori intestinali e in presenza di patologie infiammatorie o terapie antibiotiche purtroppo tendono a diminuire.

Da pro-biotici a psico-biotici

Non è strano che questi ambasciatori benefici siano definiti probiotici (a favore della vita). Essi agiscono positivamente sul nostro organismo digerendo le molecole alimentari e trasformandole in composti antinfiammatori, energetici e immunostimolanti. Inoltre molti di questi probiotici sono coinvolti anche nella modulazione dell’asse intestino-cervello, nella regolazione dell’umore, nelle funzioni cognitive, nei processi di apprendimento e di memoria. Una loro forte diminuzione è stata vista in casi di patologie neurodegenerative (Alzheimer, Parkinson) oppure in caso di disordini mentali (depressione, autismo). Molti studi hanno riportato una correlazione tra assunzione prolungata di antibiotici, disbiosi, diminuzione di batteri probiotici e aumento di comportamenti simili a depressione o ansia.

Ma quindi se in queste patologie mancano determinati batteri, non potremmo reintegrarli? Ecco che da probiotici diventerebbero quasi dei farmaci per la mente: gli psicobiotici, appunto.

Medicina alternativa?

Non è un caso se, in concomitanza con una terapia antibiotica, sia consigliata l’assunzione di probiotici, anche in seguito alla conclusione della terapia stessa. In questo modo si favorisce la ricolonizzazione dell’intestino con batteri probiotici che a loro volta stimolano la crescita di altri batteri benefici. Lo stesso concetto di integrazione è stato applicato in vari studi di neuropsicologia, anche se ancora maggiormente su topi. 

Ad esempio Lactobacillus plantarum PS128 e Lactobacillus rhamnosus (JB-1) anche singolarmente evidenziano attività ansiolitiche, antidepressive. Bifidobacterium longum 1714 è anche antistress mentre Lactobacillus helveticus NS8 riduce le disfunzioni cognitive e così via.

Diverse mix di probiotici sono in fase di sperimentazione per patologie come Alzheimer, Parkinson, autismo, ADHD. La ricerca sta procedendo e molti studi si stanno spostando dai topi agli umani, pertanto in qualche tempo probabilmente potremo avere un nuovo scaffale in farmacia. O nel banco frigo, dato che diverse aziende produttrici di probiotici e alimenti si stanno già muovendo in tal senso.

Nuove prospettive partendo da dentro di noi

Il termine integrazione è molto incoraggiante ma spesso nasconde un punto focale: i nostri probiotici intestinali ce li abbiamo già e li dobbiamo allevare amorevolmente. Questo implica che il nostro comportamento, specialmente quello alimentare, deve fornire giornalmente ai nostri batteri benefici tutto l’occorrente per proliferare al meglio. 

La seguente tabella è una parte dell’analisi EVO di una persona che, pur non prendendo probiotici, ha nel suo intestino un’alta varietà di batteri benefici.

Batteri probiotici possono naturalmente essere presenti nell’intestino. A. muciniphila e F. prausnitzii sono i più comuni mentre i Bifidobatteri sono più presenti nei bambini o in caso di assunzione di probiotici integratori.

 

Dieta, movimento e stile di vita salutare saranno fondamentali per non perderli.

E voi, che batteri benefici avete?

Per chi volesse scoprirlo diamo un coupon con il 20% di sconto* sull’analisi di Microbioma Italiano, sia Evo che base: ev20-2204-1548.

Alla prossima!

Eleonora Sattin, PhD
Responsabile servizio Microbioma Italiano di BMR Genomics

*valido fino al 31/05/2020


Psychobiotics in mental health, neurodegenerative and neurodevelopmental disorders.

The Microbiome and Host Behavior.

Gut-Brain Psychology: Rethinking Psychology From the Microbiota–Gut–Brain Axis

Quando l’umore è una questione di pancia

In questo periodo di clausura forzata, bersagliato da una pioggia incessante di notizie più o meno angoscianti, il nostro organismo sta subendo uno stress psico-fisico molto forte. Si parla senza freni di quarantena, malati, guariti, tamponi, economia allo sfascio, medici eroici e politici allo sbando. Ci sentiamo prigionieri e tristi, impauriti e stressati.
E’ persino l’unico periodo in cui il termine “positivo” ha acquisito globalmente un’accezione a dir poco deprimente. E i casi di depressione o ansia puntualmente potrebbero aumentare, dicono gli esperti.
Tuttavia le buone notizie e le buone soluzioni si possono trovare anche in questo momento così critico: molte di esse si nascondono nella nostra mente, oltre che nel nostro intestino.

La fondamentale relazione tra intestino e cervello

Il nostro apparato digerente e la nostra mente comunicano costantemente in un’autostrada di segnali che viene definita asse intestino-cervello. Il suo funzionamento non è ancora del tutto chiaro ma è noto che i batteri intestinali producono moltissime molecole simili ad ormoni o neurotrasmettitori, ovvero i messaggi preferiti delle cellule del sistema nervoso. Queste molecole escono dall’intestino e, come tante e-mail, vengono ricevute dal sistema nervoso addossato all’intestino (enterico) che le legge e ne fa giungere la loro interpretazione anche al cervello. Di rimando il cervello tramite uno dei suoi famosi nervi, il nervo Vago, comunica con l’intestino ed i suoi batteri per modificare o confermare una data condizione. Anche il sistema immunitario sembra fondamentale in questa comunicazione poiché trasporta numerosi messaggi dall’intestino al cervello.

Mai avuto fenomeni intestinali (diarrea, gastrite) in concomitanza di eventi particolarmente stressanti, come esami, interrogazioni, esibizioni, …? Ecco, questo è un tipico esempio di comunicazione intestino-cervello.

Patologie mentali e microbiota

La relazione tra microbiota intestinale e cervello diventa ancora più profonda se si comincia a parlare di condizioni patologiche come depressione e ansia. E’ stato infatti rilevato un collegamento molto forte tra disbiosi, infiammazione e queste patologie mentali. Normalmente tali disturbi tendono a presentarsi in persone che hanno una costante alta presenza di segnali infiammatori in circolo. Questi segnali mantengono attivo un particolare circuito nervoso che coordina la risposta allo stress, il che è tipico della condizione di depressione e ansia patologiche. Un po’ come accade quando si aggiunge continuamente legna sul fuoco: sarà difficile che il falò si spenga, anzi potrebbe anche divampare.

Per chi ormai ha familiarità con i batteri intestinali sa che, quando il microbiota non è in equilibrio, l’intero organismo ne può risentire. Alcuni batteri più di altri, come ad esempio le Enterobacteriaceae, sono presenti normalmente in scarsa abbondanza ma se aumentassero vistosamente sarebbero più inclini a generare uno stato infiammatorio. La continua sollecitazione dei tessuti intestinali con molecole infiammatorie può arrivare a danneggiare il tessuto stesso: l’infiammazione, da piccolo falò concentrato nell’intestino, può divampare a tutto l’organismo. Non è un caso se la presenza di infezioni intestinali sia spesso concomitante con l’insorgenza di patologie come l’ansia.

La dieta per il benessere mentale

Noi mediterranei siamo fortunati: la nostra dieta ha un altissimo potere antinfiammatorio e antiossidante (vedi articolo precedente). Probabilmente non è un caso se i paesi maggiormente colpiti da patologie come depressione e ansia sono quelli che non seguono una dieta come la nostra. La tipica assunzione di fibre, grani, alimenti fermentati, pesce e la scarsa necessità di carni rosse e zuccheri raffinati ci rende meno propensi a sviluppare patologie infiammatorie sistemiche come diabete, malattie cardiache e, nondimeno, ansia e depressione. Il seguente schema suggerisce quali alimenti della dieta mediterranea sono indicati in tal senso.

Alimenti consigliati per una salute mentale ottimale.

Le fibre, immancabili, hanno un altissimo valore prebiotico, ovvero fungono da carburante per la crescita di batteri benefici come i Bifidobatteri. Questi particolari batteri hanno una forte attività antinfiammatoria e mostrano inoltre una comprovata attività benefica per la mente, antistress e antidepressiva. Signori e signore siamo di fronte ai cosiddetti psicobiotici, ovvero batteri che hanno una valenza terapeutica in casi di patologie mentali. Ma di questi ne parleremo più avanti.

Oltre alle fibre, l’assunzione di pesce come tonno, sardine, salmone, è fondamentale per un’attività mentale in salute, come rilevato in moltissimi studi di correlazione. Il componente d’interesse è l’omega-3, e principalmente l’EPA (acido eicosapentaenoico), un acido grasso presente nell’olio di pesce che sopprime la risposta immunitaria infiammatoria. 

Morale della favola

Ancora una volta la relazione tra dieta, microbiota e salute viene sottolineata anche in campi inaspettati come la salute psichica. Detto ciò, a maggior ragione in questo periodo, vogliamoci bene: facciamo una buona spesa al supermercato e diamo una mano al nostro microbiota per mantenerci in salute e felici. O per lo meno positivi. Ma nel senso migliore del termine.

Alla prossima puntata dove approfondiremo quali alimenti preferire per un buon benessere psico-fisico.

Eleonora Sattin, PhD
Responsabile servizio Microbioma Italiano BMR Genomics


Dinan TG et al., Feeding melancholic microbes: MyNewGut recommendations on diet and mood, Clinical Nutrition.