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Intolleranza al lattosio, microbiota e analisi EVO di Microbioma Italiano.

Nell’ultimo articolo del nostro blog abbiamo parlato della relazione tra intolleranza al lattosio e microbiota.

Ma cosa può dirci al riguardo l’analisi EVO di Microbioma Italiano?

Lo vediamo discutendo il case study di una partecipante al progetto Microbioma Italiano.

I sintomi

Come accade spesso in questi casi, anche per la nostra amica i primi sintomi tipici dell’intolleranza al lattosio da ipolattasia (perdita di attività dell’enzima lattasi) si sono manifestati apparentemente all’improvviso, perchè?

Perchè, ricordiamolo, la soglia di tolleranza al lattosio è individuale.

La quantità di lattosio ingerito in grado di indurre sintomi varia mediamente da 12 a 18 grammi al giorno.

Questo significa che quantità basse di lattosio, ad esempio un paio di caffè macchiati con latte, uno yogurt, formaggi stagionati, piccole quantità di formaggi freschi, sono di norma ben tollerate anche da chi malassorbe il lattosio.

Quando la propria soglia di tolleranza viene superata, compaiono i sintomi dell’intolleranza: dolore addominale, gonfiore, flatulenza, a volte diarrea, nausea e vomito.

Questo è esattamento quello che il nostro case study aveva iniziato a notare su se stessa.

Genetica

Anche la genetica ha un ruolo nel determinare l’intolleranza al lattosio.

In circa il 65-75% della popolazione umana, dopo lo svezzamento, l’espressione del gene che codifica per la lattasi viene down-regolata, che significa che il gene viene “spento” e la lattasi non viene più prodotta.

Questa condizione è la più comune.

Tuttavia, alcuni soggetti, più frequentemente in Europa e in alcune popolazioni africane, mediorientali e dell’Asia meridionale, presentano delle particolari varianti genetiche, chiamate polimorfismi, frutto di mutazioni selezionate positivamente nel corso dell’evoluzione. Tali varianti determinano la persistenza della lattasi anche in età adulta. In questi casi, infatti, il gene che codifica l’enzima lattasi non viene “spento” ma continua a essere attivo.

Secondo voi la nostra amica possiede qualcuna di queste varianti genetiche?

La risposta è no. Effettuando un test genetico, infatti, ha scoperto di avere un genotipo che in genetica si definisce wild-type, letteralmente selvatico, cioè la versione di un gene più comune in natura, responsabile dell’ipolattasia in età adulta.

Microbiota

Sarete curiosi di conoscere, a questo punto, la composizione del microbiota intestinale del nostro case study.

Analizziamo alcuni dettagli del report EVO relativo all’analisi del suo microbioma intestinale.

Il grafico a sinistra rappresenta la stima del potenziale fermentativo del microbiota intestinale, rispetto a determinati composti, tra cui il lattosio.

La freccia rossa indica che l’efficienza del microbiota intestinale nella fermentazione del lattosio è in eccesso, determinando una elevata produzione di gas, flatulenza, costipazione, diarrea, distensione a livello della parete intestinale, con conseguente dolore addominale, nei soggetti più sensibili.

In che modo questa informazione può essere utile?

Un microbiota di questo tipo può abbassare la soglia individuale di tolleranza del lattosio, suggerendo di porre una maggiore attenzione all’assunzione contemporanea di alimenti contenenti elevate quantità di lattosio.

D’altra parte, però, ricordiamo che il microbiota è un ecosistema estremamente resiliente, con una elevata capacità di adattarsi in maniera positiva a un determinato ambiente.

Lo vediamo nella tabella a destra.

Il malassorbimento del lattosio ha determinato la selezione di Bifidobatteri, che utilizzano il lattosio nel loro metabolismo e producono una elevata quantità di acidi grassi a catena corta, dalle note proprietà anti-infiammatorie e immunomodulanti.

Take-home message

Cosa ci portiamo a casa?

  • E’ fondamentale ascoltarsi e ascoltare il proprio corpo, ponendo attenzione al cibo di cui ci nutriamo e ai sintomi che lo accompagnano.
  • Se sospettiamo di avere un’intolleranza al lattosio, non dobbiamo necessariamente eliminare del tutto il latte e i derivati, preziose fonti di calcio, ma possiamo provare a capire qual è la nostra soglia di tolleranza individuale.
  • Un microbiota in equilibrio, con una buona rappresentanza di batteri benefici, quali i Bifidobatteri, può contribuire a tenere sotto controllo un’eventuale infiammazione e a produrre composti benefici per l’intestino, anche in situazioni di intolleranza.

Il report EVO di Microbioma Italiano e la guida di un nutrizionista possono rivelarsi molto utili in questi casi.

E tu, sei curioso di scoprire l’effetto del lattosio sul tuo microbiota?

Visita il nostro sito per conoscere come effettuare il test!

Alla prossima!

Ilena Li Mura, PhD

Biologa Nutrizionista


Bibliografia

WGO Practice Guidelines – Diet and the Gut

 

Intolleranza al lattosio: un mix di genetica e microbioma

Può capitare, quando non si è più tanto piccoli, che una mattina ci si svegli, si faccia colazione con la consueta tazza di latte e cereali e poi… il nostro intestino si ribelli violentemente. Ecco, quello è il momento in cui il nostro corpo ha “deciso” di non volerne più sapere di latte e lattosio.

Lattosio e lattasi

Il lattosio è uno zucchero composto da glucosio e galattosio e, tanto per farsi un’idea, 250 ml di latte vaccino (un bicchiere) ne contengono 12,5 grammi. Se il latte viene fermentato a yogurt, ne rimane circa la metà perché questo zucchero viene utilizzato dai batteri per proliferare e produrre le sostanze organoletticamente tipiche dei prodotti caseari. Più è stagionato un formaggio e minore sarà il suo contenuto in lattosio. 

Nel nostro intestino il lattosio può essere assorbito nell’intestino tenue grazie alla presenza di un enzima chiamato lattasi. Questo scinde il lattosio nei suoi due componenti che solo così  vengono trasportati dentro alle cellule intestinali. Da qui diffondono verso i vasi sanguigni per essere utilizzati in tutto il corpo. Fino a che un giorno il gene che codifica per la lattasi non decide di spegnersi. Niente più (o pochissimo) enzima attivo = accumulo di lattosio nell’intestino.

Malassorbimento e intolleranza al lattosio

Sono due termini spesso confusi ma di fatto molto diversi: il malassorbimento è la condizione per cui il lattosio non può essere trasferito dall’intestino tenue alle cellule, pertanto si accumula e transita nell’intestino crasso. Intolleranza è invece un insieme di sintomi intestinali (gonfiore, dolore, flatulenza, diarrea) legati al malassorbimento. Se è vero che l’intolleranza dipende dal malassorbimento, non è vero il contrario: infatti non è detto che chi “malassorbe” sia anche intollerante, potrebbe bere il suo bicchiere di latte senza avere nessun problema. Perché? 

Lattosio e microbiota

Il lattosio indigerito transita fino al colon dove incontra il microbiota che non vede l’ora di cibarsene. Batteri diversi trattano il lattosio in modo diverso pertanto alcuni lo trasformeranno in acidi grassi a catena corta (benefici per l’intestino) mentre altri in metano, idrogeno o anidride carbonica. Di fatto la distensione addominale dovuta all’accumulo di tali gas è quella responsabile del dolore e della flatulenza. La diarrea di solito compare quando la fermentazione del lattosio è lenta pertanto lo zucchero richiama per osmosi molta acqua dalla parete intestinale e liquefa le feci. 

Di fatto un microbiota bilanciato è il salvagente ideale in caso di spegnimento della lattasi: non è un caso se normalmente chi ha una lattasi “pigra” selezioni nel proprio intestino molti Bifidobatteri. Probiotici naturali che utilizzano il lattosio e producono una gran quantità di acidi grassi a catena corta, i Bifidobatteri sono fondamentali come antinfiammatori, regolatori del metabolismo dei lipidi, immunostimolanti e modulatori dell’asse intestino-cervello. Chi ha un malassorbimento del lattosio solitamente ha un limite giornaliero variabile di 12-18 grammi prima di accusare sintomi dolorosi. Pertanto in questo caso si può sfruttare questa tolleranza per il proprio benessere microbiota-mediato.

Conclusioni

Non esistono terapie definitive per l’intolleranza al lattosio, solitamente la soluzione è limitare nella dieta alimenti che lo contengono. Questo permette anche di evitare eventuali esacerbazioni di condizioni infiammatorie, ove presenti, come nel caso di IBS o IBD (ne avevamo parlato qui). Tuttavia per gli amanti di latte e derivati, le terapie legate al microbiota potrebbero essere una buona alternativa all’assunzione di enzimi sintetici: probiotici a base di Bifidobatteri o prebiotici a base di galattooligosaccaridi (GOS) sono al vaglio per ripristinare un microbiota pro-lattosio. Ma prima, se siete curiosi di sapere se il vostro microbiota è anti- o pro-lattosio, potete sempre effettuare il test Microbioma Italiano EVO con la sua analisi fermentativa.

Alla prossima!

Eleonora Sattin, PhD
Responsabile Servizio Microbioma Italiano di BMR Genomics


Misselwitz B, Butter M, Verbeke K, et al. “Update on lactose malabsorption and intolerance: pathogenesis, diagnosis and clinical management”. Gut 2019;68:2080-2091.

WGO Practice Guideline – Diet and the Gut

Lievito di birra e benessere intestinale

C’è stato un momento in questi mesi di lockdown in cui nei supermercati non si riusciva più a trovare né farina né tantomeno il lievito. Il web è stato subito popolato da meme e post su “gli italiani, popolo di impastatori” in cui si prendeva in giro l’incredibile e riscoperta attitudine degli italiani alla produzione casalinga di pane, pizze, brioches, focacce e così via. Probabilmente è un’attitudine che conserviamo nel nostro DNA e che tiriamo fuori quando diventa necessaria ?.

Questa corsa alla panificazione mi ha fatto pensare a quel microrganismo fedele e fondamentale per la lievitazione che è il lievito di birra, ovvero Saccharomyces cerevisiae. Ne abbiamo mangiato a teglie intere ma… questo lievito ha qualcosa a che vedere con il nostro microbiota?

Partiamo dall’inizio 

Non se ne parla spesso ma il microbiota intestinale è un piccolo-grande ecosistema in cui non ci sono solo i famosi batteri. Il colon infatti è ricchissimo anche di altre forme viventi tra cui virus (che però non sono considerati “viventi” in senso stretto), protozoi e, per l’appunto, funghi e lieviti. Quest’ultima sezione del microbiota, chiamata micobiota [dal greco μύκης «fungo»; latino scient. myco-], è purtroppo meno studiata ma alcune informazioni si conoscono già.

Ad esempio si sa che, rispetto ai batteri, funghi e lieviti sono decisamente meno presenti e meno vari. Tuttavia tra persona e persona variano tanto quanto all’interno dello stesso soggetto in periodi diversi. Quindi se il microbioma batterico è una sorta di impronta digitale di una persona, il micobioma fungino no.

Guarda un po’ chi si rivede!

Abbiamo tre principali lieviti o funghi nell’intestino: Candida albicans, Malassezia restricta e, udite udite, Saccharomyces cerevisiae. Proprio lui ed è pure il più abbondante di tutti! Non solo: sembra che il nostro lievito di birra intestinale abbia un effetto antinfiammatorio e protettivo della barriera intestinale, a sostegno di quello della flora batterica.

In uno studio su pazienti con Morbo di Crohn alcuni ricercatori infatti hanno rilevato, oltre alla modifica del microbioma batterico, che S. cerevisiae tendeva ad essere meno abbondante rispetto al gruppo dei sani. Al contrario C. albicans era aumentata (come solitamente tende ad aumentare dopo un pasto ricco in carboidrati). 

Tuttavia la supplementazione* con S. cerevisiae ha apportato un beneficio ai pazienti promuovendo la produzione di molecole antinfiammatorie. Probabilmente, concludono gli autori dello studio, i soggetti con Morbo di Crohn, avendo una inferiore abbondanza di S. cerevisiae intestinale, sono meno protetti da un incremento dello stato infiammatorio tipico della patologia.

Un nuovo mondo ci aspetta

Non è ancora chiaro quanto il micobioma fungino sia influente sulla salute rispetto al microbioma batterico, che è più abbondante e unico. Tuttavia il fatto che si modifichi in caso di malattia e giovi in caso di supplementazione, fa ben sperare. In un certo senso quindi il lievito di birra sembra legato al benessere intestinale.

Sicuramente l’esplorazione del micobioma fungino è un ambito interessante e anche noi di Microbioma Italiano vogliamo iniziare a farlo. Ci vorrà ancora qualche tempo ma l’intenzione di adottare una tecnologia di sequenziamento del DNA accessibile a tutti e che ci permetta di avere l’immagine completa della flora intestinale c’è assolutamente e non ne vediamo l’ora!

Nel frattempo continuate a panificare e a voler bene a quel piccolo lievito sia nel forno che nella pancia.

Alla prossima!

Eleonora Sattin, PhD
Responsabile servizio Microbioma Italiano presso BMR Genomics

*con lievito vivo. Il lievito nel pane o nella birra purtroppo è morto e non può supplementare nulla, se non come nutriente per la flora residente


The gut mycobiome of the Human Microbiome Project healthy cohort

Remission in Crohn’s disease is accompanied by alterations in the gut microbiota and mucins production

Quando l’umore è una questione di pancia

In questo periodo di clausura forzata, bersagliato da una pioggia incessante di notizie più o meno angoscianti, il nostro organismo sta subendo uno stress psico-fisico molto forte. Si parla senza freni di quarantena, malati, guariti, tamponi, economia allo sfascio, medici eroici e politici allo sbando. Ci sentiamo prigionieri e tristi, impauriti e stressati.
E’ persino l’unico periodo in cui il termine “positivo” ha acquisito globalmente un’accezione a dir poco deprimente. E i casi di depressione o ansia puntualmente potrebbero aumentare, dicono gli esperti.
Tuttavia le buone notizie e le buone soluzioni si possono trovare anche in questo momento così critico: molte di esse si nascondono nella nostra mente, oltre che nel nostro intestino.

La fondamentale relazione tra intestino e cervello

Il nostro apparato digerente e la nostra mente comunicano costantemente in un’autostrada di segnali che viene definita asse intestino-cervello. Il suo funzionamento non è ancora del tutto chiaro ma è noto che i batteri intestinali producono moltissime molecole simili ad ormoni o neurotrasmettitori, ovvero i messaggi preferiti delle cellule del sistema nervoso. Queste molecole escono dall’intestino e, come tante e-mail, vengono ricevute dal sistema nervoso addossato all’intestino (enterico) che le legge e ne fa giungere la loro interpretazione anche al cervello. Di rimando il cervello tramite uno dei suoi famosi nervi, il nervo Vago, comunica con l’intestino ed i suoi batteri per modificare o confermare una data condizione. Anche il sistema immunitario sembra fondamentale in questa comunicazione poiché trasporta numerosi messaggi dall’intestino al cervello.

Mai avuto fenomeni intestinali (diarrea, gastrite) in concomitanza di eventi particolarmente stressanti, come esami, interrogazioni, esibizioni, …? Ecco, questo è un tipico esempio di comunicazione intestino-cervello.

Patologie mentali e microbiota

La relazione tra microbiota intestinale e cervello diventa ancora più profonda se si comincia a parlare di condizioni patologiche come depressione e ansia. E’ stato infatti rilevato un collegamento molto forte tra disbiosi, infiammazione e queste patologie mentali. Normalmente tali disturbi tendono a presentarsi in persone che hanno una costante alta presenza di segnali infiammatori in circolo. Questi segnali mantengono attivo un particolare circuito nervoso che coordina la risposta allo stress, il che è tipico della condizione di depressione e ansia patologiche. Un po’ come accade quando si aggiunge continuamente legna sul fuoco: sarà difficile che il falò si spenga, anzi potrebbe anche divampare.

Per chi ormai ha familiarità con i batteri intestinali sa che, quando il microbiota non è in equilibrio, l’intero organismo ne può risentire. Alcuni batteri più di altri, come ad esempio le Enterobacteriaceae, sono presenti normalmente in scarsa abbondanza ma se aumentassero vistosamente sarebbero più inclini a generare uno stato infiammatorio. La continua sollecitazione dei tessuti intestinali con molecole infiammatorie può arrivare a danneggiare il tessuto stesso: l’infiammazione, da piccolo falò concentrato nell’intestino, può divampare a tutto l’organismo. Non è un caso se la presenza di infezioni intestinali sia spesso concomitante con l’insorgenza di patologie come l’ansia.

La dieta per il benessere mentale

Noi mediterranei siamo fortunati: la nostra dieta ha un altissimo potere antinfiammatorio e antiossidante (vedi articolo precedente). Probabilmente non è un caso se i paesi maggiormente colpiti da patologie come depressione e ansia sono quelli che non seguono una dieta come la nostra. La tipica assunzione di fibre, grani, alimenti fermentati, pesce e la scarsa necessità di carni rosse e zuccheri raffinati ci rende meno propensi a sviluppare patologie infiammatorie sistemiche come diabete, malattie cardiache e, nondimeno, ansia e depressione. Il seguente schema suggerisce quali alimenti della dieta mediterranea sono indicati in tal senso.

Alimenti consigliati per una salute mentale ottimale.

Le fibre, immancabili, hanno un altissimo valore prebiotico, ovvero fungono da carburante per la crescita di batteri benefici come i Bifidobatteri. Questi particolari batteri hanno una forte attività antinfiammatoria e mostrano inoltre una comprovata attività benefica per la mente, antistress e antidepressiva. Signori e signore siamo di fronte ai cosiddetti psicobiotici, ovvero batteri che hanno una valenza terapeutica in casi di patologie mentali. Ma di questi ne parleremo più avanti.

Oltre alle fibre, l’assunzione di pesce come tonno, sardine, salmone, è fondamentale per un’attività mentale in salute, come rilevato in moltissimi studi di correlazione. Il componente d’interesse è l’omega-3, e principalmente l’EPA (acido eicosapentaenoico), un acido grasso presente nell’olio di pesce che sopprime la risposta immunitaria infiammatoria. 

Morale della favola

Ancora una volta la relazione tra dieta, microbiota e salute viene sottolineata anche in campi inaspettati come la salute psichica. Detto ciò, a maggior ragione in questo periodo, vogliamoci bene: facciamo una buona spesa al supermercato e diamo una mano al nostro microbiota per mantenerci in salute e felici. O per lo meno positivi. Ma nel senso migliore del termine.

Alla prossima puntata dove approfondiremo quali alimenti preferire per un buon benessere psico-fisico.

Eleonora Sattin, PhD
Responsabile servizio Microbioma Italiano BMR Genomics


Dinan TG et al., Feeding melancholic microbes: MyNewGut recommendations on diet and mood, Clinical Nutrition.