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Cercare l’equilibrio nonostante tutto

Resilienza: un termine che in psicologia ci riporta ai concetti di coraggio, forza, resistenza nei confronti delle tempeste della vita. E’ la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici e di riorganizzare positivamente la propria vita. 

In realtà questo vocabolo al di fuori della psicologia è molto usato anche in ambito scientifico. Infatti un qualsiasi sistema può subire delle perturbazioni ed adattarsi ad esse, trovando un nuovo equilibrio stabile. In biologia resilienza esprime la capacità della materia vivente ad auto ripararsi.

Ma in fondo che sia psicologia o scienza, il concetto non è sempre lo stesso?! Cercare l’equilibrio nonostante tutto.

Resilienza: un equilibrio dinamico

Avete presente quei porta dolci a più piani tipici dei matrimoni? Ecco, immaginate una pallina blu sul ripiano più alto. Dato che il ripiano ha i bordi un po’ curvi, la pallina può muoversi liberamente senza mai cadere, spinta da una folata d’aria oppure dal dito di un bambino che ci gioca.

Ma… se il bambino ci mettesse troppa energia e le facesse superare il bordo del ripiano, che succederebbe? La pallina cadrebbe nel livello sottostante! A quel punto non basterebbe più un dito per riportare la pallina nel ripiano più alto: il bambino dovrebbe sforzarsi molto per riportare le cose com’erano in origine.

Il microbiota cerca sempre la stabilità

La nostra pallina è come il microbiota. Infatti il microbiota è un sistema che giornalmente, ora per ora, subisce delle continue modifiche a cui deve resistere oppure adattarsi. In altre parole può muoversi sullo stesso ripiano oppure può essere costretto a cadere sul ripiano sottostante.

Normalmente il ripiano più alto della tortiera è considerato il livello di equilibrio ottimale, in cui il microbiota lavora per il bene dell’organismo e viceversa (eubiosi). Si modifica adattandosi all’ambiente circostante ma comunque rimane in equilibrio positivo. Purtroppo fattori potenti come l’uso di antibiotici, una dieta sbilanciata, una patologia infiammatoria, possono invece far cadere il microbiota sul livello inferiore in cui l’equilibrio non è più positivo, anzi tende ad essere autodistruttivo (disbiosi). Non solo: riportare il microbiota al livello superiore richiederebbe decisamente molta più energia di quella richiesta per farlo cadere (re-biosi).

 

1) La pallina blu (microbiota) si muove in equilibrio sul ripiano più alto (eubiosi); 2) la pallina blu (microbiota) si muove in equilibrio ma sul ripiano più basso (disbiosi). Riportare la pallina allo stato originario richiede molta energia.

E’ difficile stravolgere il microbiota se è stabile

Prendiamo l’esempio di una partecipante al progetto che, dopo aver mangiato carne cruda contaminata, ha avuto evidenti problemi intestinali. Dopo 4 giorni di forte dissenteria e digiuno ha effettuato il prelievo. Dobbiamo ammettere che i suoi risultati sono stati veramente interessanti.

Il suo microbiota sembrava perfettamente sano: nessun disequilibrio, nessun impoverimento della flora. Solo la fortuita presenza di un organismo chiamato Campylobacter, un comune batterio che causa infezioni da alimenti contaminati (specialmente Campylobacter jejuni). Una volta passata l’infezione, il soggetto si è ristabilito perfettamente.

I valori di biodiversità e disbiosi sono equilibrati tranne che per la presenza di un batterio potenzialmente patogeno, identificato come Campylobacter.

L’equilibrio positivo va coltivato

Se nemmeno 4 giorni di diarrea e digiuno riescono a modificare il microbiota, pensate a quanto stabile è la nostra flora intestinale quando è sana. Pensate invece a quanto forti e continuativi devono essere gli stimoli per modificarlo (e nel mondo occidentale siamo dei maestri nel trovarli). Pensate infine a quanto dev’essere difficile riportare un microbiota al livello superiore, una volta che è caduto in un suo stabile disequilibrio.

Ogni giorno le nostre scelte possono influenzare il nostro microbiota e la sua resilienza. Pertanto cerchiamo di evitare i comportamenti dannosi, soprattutto protratti per lungo tempo, in modo da coltivare un equilibrio positivo, stabile e allontanare una condizione autodistruttiva. E questo vale per il corpo tanto quanto per la mente.

Alla prossima!

Eleonora Sattin, PhD
Responsabile servizio Microbioma Italiano presso BMR Genomics


Mosca et al. 2016. Gut Microbiota Diversity and Human Diseases: Should We Reintroduce Key Predators in Our Ecosystem?

Epicentro, Istituto Superiore di Sanità – Campylobacter

Il microbiota intestinale potrebbe predisporre al COVID-19

Era nell’aria già da un po’. Ma d’altronde come poteva non essere così?

In un articolo scientifico del 25 Aprile viene sottolineata l’importanza del legame tra microbiota intestinale e COVID-19. Purtroppo il paper non è ancora pubblicato pertanto non è stato ancora sottoposto a correzioni formali, le cosiddette peer review ma, con le opportune cautele, mostra già delle considerazioni molto interessanti.

Il gruppo di ricercatori che ha condotto lo studio è partito da un’idea molto semplice: la patologia COVID-19 nella sua forma peggiore mostra una reazione immunitaria esagerata. Questo porta l’organismo a predisporre uno stato infiammatorio inutilmente potente che, in un circolo vizioso, lo indebolisce e lo rende vulnerabile. Cosa accade nell’organismo dei pazienti infettati da SARS-CoV-2 e che sviluppano la sindrome acuta COVID-19? Possiamo predire se una persona si ammalerà di COVID-19 e quanto severamente? Possiamo prevenirlo?

Lo studio dell’infiammazione

I ricercatori hanno analizzato tutte le proteine presenti nel sangue di 31 persone infette. Hanno subito notato che all’aumentare di certe proteine aumenta il rischio di incorrere in una evoluzione severa di COVID-19. Chiameremo queste proteine “marcatori.

Oltre a queste, esistono alcune particolari proteine del sangue chiamate citochine che sono mediatori dell’infiammazione e allertano le cellule del sistema immunitario perché sfoderino le armi per combattere l’infezione. Sono come gli squilli di tromba che svegliano un intero esercito. All’aumentare dei “marcatori proteici aumentano anche le famose citochine infiammatorie, seguendo uno schema matematico. Applicando questo modello su persone sane, si è visto che uno schema molto simile era presente principalmente in persone adulte oltre i 58 anni. Riassumendo:

età = marcatori =  citochine =  probabilità di COVID-19 severa

Dice nulla? Probabilmente non è un caso se la sindrome respiratoria acuta COVID-19 insorge principalmente in persone adulte o anziane. La teoria dell’inflammaging sostiene da molti anni che l’invecchiamento corrisponde ad un accumulo di fattori infiammatori nell’organismo [ndr]. Pertanto la presenza di uno stato già di base infiammato in adulti e anziani potrebbe favorire quell’esplosione infiammatoria esagerata che avviene in presenza del SARS-CoV-2.

Ma che c’entra il microbiota?

Tramite l’analisi del microbiota, simile a quella che facciamo con Microbioma Italiano, i ricercatori hanno correlato la presenza di citochine infiammatorie con il microbiota dei soggetti sani. Gli scienziati hanno quindi evidenziato che l’abbondanza di determinati batteri era correlata alla presenza di particolari citochine infiammatorie. Ad esempio, Bacteroides, Streptococcus e i Clostridiales tendevano a diminuire mentre Ruminococcus, Blautia e Lactobacillus tendevano ad aumentare in presenza delle citochine. Questo fatto è un po’ curioso in quanto questi ultimi tre batteri sono notoriamente anti-infiammatori, tuttavia un loro aumento potrebbe avere altri significati [ndr]. 

Analizzando anche i metaboliti (le molecole prodotte dai batteri intestinali), i ricercatori hanno notato che erano molto rappresentate delle molecole che hanno a che fare con la costruzione di proteine che attivano l’infiammazione! In questo senso il microbiota intestinale potrebbe favorire il COVID-19 promuovendo la produzione di particolari proteine pro-infiammatorie. Che questo sia dovuto all’infezione o meno non è chiaro, ma sicuramente un’attività batterica sbilanciata in favore della produzione di proteine infiammatorie potrebbe aiutare l’insorgenza della patologia più severa.

Conclusioni

Che i batteri intestinali fossero coinvolti nelle risposte infiammatorie e nella protezione da infezioni, è cosa nota e ne avevamo già parlato. Tuttavia questi risultati potrebbero davvero essere utili. Infatti i marcatori batterici e molecolari individuati in questo lavoro potrebbero diventare dei target per sviluppare terapie o per definire metodi di predizione dell’evoluzione della patologia e bloccare la fase acuta.

D’altra parte i risultati dello studio sottolineano come il mantenimento dell’equilibrio del microbiota intestinale sia fondamentale e possa diventare anche una strategia parallela di cura durante un COVID-19, come hanno già proposto in Cina.

Ad ogni modo la ricerca continua.

 

Eleonora Sattin, PhD
Responsabile servizio Microbioma Italiano a BMR Genomics


Gut microbiota may underlie the predisposition of healthy individuals to COVID-19.

Inflammaging: a new immune–metabolic viewpoint for age-related diseases