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Lunga vita al Microbiota

… o grazie al Microbiota?

Entrambe le cose, data la natura mutualistica della profonda e antica relazione tra batteri e umani.

Ma esiste una “firma” del Microbiota in termini di longevità?

E’ la domanda alla quale hanno cercato di rispondere diversi gruppi di ricerca, studiando quello che potrebbe essere definito il miglior modello di “invecchiamento di successo”: i centenari (99-104 anni d’età) e i semi supercentenari (105-109 anni d’età).

Rispetto agli ottuagenari e nonagenari appartenenti allo stesso gruppo, in termini di genetica e stile di vita, i centenari mostrano una più bassa incidenza di malattie croniche, bassi livelli di infiammazione cronica dovuta all’invecchiamento (inflammaging), assenza o ritardato esordio di deterioramento cognitivo, assenza di malattie neurodegenerative (Parkinson e Alzheimer), bassi livello di ansia e depressione.

Non male, vero?

Quella dei centenari appare, dunque, una condizione eccezionale e affascinante, in termini fisiologici e “filosofici”.

Rappresenta una miscela unica di forza e fragilità accumulate negli anni, che coesistono e sono il risultato della straordinaria capacità di questi soggetti di rispondere e adattarsi all’insieme degli stimoli “dannosi” che la vita comporta, come stress ossidativo, infiammazione ed esposizione a sostanze estranee tossiche, i cosiddetti xenobiotici.

Una bella metafora di resilienza, non trovate?

Disbiosi e “inflammaging”

Vi starete chiedendo quale potrebbe essere la formula dell’elisir di lunga vita. Le variabili in gioco sono molteplici e “il tutto è diverso dalla somma delle parti”, vale nella psicologia della Gestalt come anche in fisiologia.

Il Microbiota intestinale, in condizioni non disbiotiche, è una delle variabili che possono contribuire all’invecchiamento “in salute” dell’organismo umano, preservando nell’ospite l’omeostasi fisiologica e immunitaria, contrastando il processo di inflammaging, la permeabilità intestinale e il deterioramento della salute ossea e mentale.

E’ noto che la disbiosi intestinale favorisca uno stato di infiammazione a livello sistemico che, a sua volta, determina un aumento delle cosiddette specie reattive dell’ossigeno o radicali liberi,  coinvolti nell’insorgenza di numerose patologie e nell’invecchiamento.

In queste condizioni, i cosiddetti “patobionti”, come Enterobacteriaceae, Enterococcaceae, Staphylococcaceae, proliferano, a discapito di altre specie batteriche benefiche, in quanto sono microrganismi aerobi facoltativi, vale a dire che riescono a tollerare la maggiore disponibilità di ossigeno che caratterizza l’intestino infiammato, supportando condizioni pro-infiammatorie e alimentando un circolo vizioso infiammatorio che porta all’insorgenza di una serie di malattie tipiche dell’invecchiamento.

A tutto ciò va aggiunto il contributo della genetica, dello stile di vita e dei fattori ambientali.

Longevità, un patto con il Diavolo?

L’evidenza più interessante è emersa dal confronto delle comunità microbiche intestinali nei centenari e nei semi supercentenari rispetto a soggetti di altre classi di età appartenenti alla stessa popolazione di riferimento, in un range dai 22 ai 109 anni.

Questi studi hanno portato alla luce caratteristiche uniche dei centenari, in termini di composizione del Microbiota intestinale, rispetto al gruppo degli adulti giovani e degli anziani settantenni, suggerendo l’insorgenza di un profondo rimodellamento adattativo del Microbiota intestinale dopo 100 anni di associazione simbiotica con il suo ospite.

Più che scendere a patti con il Diavolo, quindi, i soggetti particolarmente longevi sembrano aver “rinegoziato il patto mutualistico” con il proprio Microbiota, cambiando, in parte, i partners batterici che supportano il loro stato di salute. 

In particolare, il Microbiota dei centenari mostra una più alta diversità in termini di composizione delle specie batteriche e una diminuzione di alcune specie produttrici di butirrato (Ruminococcus obeum, Roseburia intestinalis, Eubacterium ventriosum, Eubacterium rectale, Eubacterium hallii, Papillibacter cinnamovorans, Faecalibacterium prausnitzii), controbilanciata da un aumento di altre specie benefiche, quali Akkermansia muciniphila, Bifidobacterium longum, Eggerthella lenta, Christensenellaceae, associate a un basso indice di massa corporea e con proprietà antinfiammatorie e immunomodulanti. 

Un’altra interessante caratteristica del Microbiota dei centenari e in particolare dei semi supercentenari è la presenza di un maggior numero di geni microbici coinvolti della degradazione degli xenobiotici, probabilmente come risultato di un processo di adattamento funzionale all’esposizione continua e all’accumulo di queste sostanze tossiche nel corso della loro lunga vita. 

Invecchiare nei paesi industrializzati comporta anche questo.

In conclusione

I soggetti più longevi perdono alcune componenti caratteristiche del microbioma intestinale degli adulti, per acquisire una nuova salutare “ricchezza microbica”. 

Penso che sia questo, in fondo, il vero segreto dell’invecchiare bene, lasciar andare la vita adulta, così come si è abituati a viverla, per accogliere una nuova condizione di equilibrio, ad ogni livello, dal micro al macro-scopico.

PS: in copertina una mia foto delle Highlands scozzesi nella lontana estate 2010, un bel posto dove invecchiare 🙂

Ilena Li Mura, PhD

Biologa Nutrizionista


References

Gut microbiota changes in the extreme decades of human life: a focus on centenarians.

Shotgun Metagenomics of Gut Microbiota in Humans with up to Extreme Longevity and the Increasing Role of Xenobiotic Degradation