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Allena il tuo microbioma – parte seconda

 

Che stress l’attività fisica!

Quanti di voi lo hanno pensato, almeno una volta?

In effetti l’esercizio fisico rappresenta, nel breve termine, una forma di stress per l’organismo, in quanto ne perturba l’omeostasi interna, vale a dire quella condizione di equilibrio dinamico che permette la vita.

Stress e resilienza

Un’attività ad alta intensità e prolungata nel tempo aumenta la temperatura interna del corpo e riduce il flusso sanguigno nell’intestino di più del 50%, inducendo una transitoria ischemia intestinale nell’arco di 10 minuti e aumentando la disidratazione.

L’esercizio fisico, inoltre, aumenta temporaneamente la permeabilità intestinale, l’infiammazione a livello sistemico e lo stress ossidativo.

L’organismo risponde allo stimolo stressogeno dell’attività fisica mettendo in atto una serie di meccanismi di adattamento benefici che, nel lungo termine, migliorano la resilienza della barriera intestinale e dell’intero organismo.

La sinergia tra microbiota e attività fisica

Il microbiota intestinale può influenzare l’adattamento all’esercizio fisico, in quanto può avere un ruolo chiave nel controllo dello stress ossidativo e della risposta infiammatoria, così come nel miglioramento del metabolismo energetico e dello stato di idratazione, durante un’attività ad alta intensità.

Viceversa, l’attività fisica è in grado di modificare, indipendentemente dalla dieta, la composizione del microbiota intestinale, aumentando la diversità delle comunità microbiche e l’abbondanza dei batteri produttori di butirrato, quali Faecalibacterium prausnitzii e le specie del genere Oscillospira, Lachnospira e Coprococcus, che contribuiscono al benessere intestinale.

Ne avevamo parlato nell’ultimo articolo del nostro blog, ricordate?

Sebbene sia un campo di ricerca ancora aperto, non vi è dubbio che esista una relazione sinergica tra esercizio fisico e microbiota e questa sinergia può essere, in parte, responsabile dei benefici di una regolare attività fisica sulla salute.

L’evidenza più interessante che sta emergendo dalle ultime ricerche è che questi benefici si osservano anche nei confronti di patologie croniche.

Vediamo alcuni dati.

Ruolo del butirrato in alcune patologie

Tumore del colon retto

Studi osservazionali indicano che i soggetti fisicamente attivi hanno un rischio ridotto del 24% di sviluppare il tumore del colon retto rispetto ai sedentari. Inoltre, nei pazienti affetti da questa forma di tumore, una regolare attività fisica può migliorare la qualità della vita e ridurre la mortalità complessiva.

Il meccanismo alla base potrebbe essere proprio una maggiore produzione di butirrato.

I pazienti affetti da tumore del colon retto, infatti, mostrano disbiosi intestinale, con una ridotta abbondanza di specie produttrici di butirrato, come Roseburia e Lachnospiraceae.

Da studi in vitro è emerso che il butirrato è in grado di regolare in maniera diversa l’espressione di determinati geni nelle cellule cancerose rispetto alla cellule sane.

Mentre nelle cellule sane il butirrato porta a una maggiore proliferazione cellulare e al rafforzamento della barriera intestinale, nelle cellule tumorali ha l’effetto inverso, in quanto inibisce la proliferazione e induce la morte cellulare, con conseguente riduzione della dimensione del tumore e della probabilità di metastasi.

Obesità e Sindrome metabolica

Il microbiota intestinale risulta strettamente associato anche all’obesità e alla sindrome metabolica, quella pericolosa combinazione di una serie di fattori di rischio cardiovascolare.

Studi sui topi hanno mostrato che il microbiota degli animali obesi ha una capacità significativamente più alta di ricavare energia dalla dieta e di indurre permeabilità intestinale, portando all’ingresso di endotossine nel circolo sanguigno.

Questa condizione determina aumento di peso e insulino resistenza.

L’esercizio fisico è in grado di attenuare la disbiosi e la permeabilità intestinale e di aumentare l’abbondanza di batteri produttori di butirrato.

In modelli animali di obesità è stato visto che il butirrato aumenta il consumo energetico, riduce l’adiposità, migliora la sensibilità all’insulina e stimola la produzione degli ormoni della sazietà.

Disordini dell’umore

E’ noto che l’attività fisica apporti dei benefici sulla salute mentale e neurologica ed è plausibile che alcuni di questi benefici siano mediati proprio dal microbiota, grazie all’asse intestino-cervello, di cui abbiamo già parlato.

Anche in questo caso, il butirrato e i batteri che lo producono sembrano essere gli attori principali. L’abbondanza di Lachnospiraceae, ad esempio, correla negativamente con l’ansia.

In modelli animali, il butirrato ha mostrato attività antidepressiva, aumentando i livelli di serotonina nel cervello. Inoltre, supporta la sopravvivenza dei neuroni e stimola la produzione di nuovi neuroni e sinapsi.

Lo sport migliora la vita e l’umore e lo fa con il contributo del nostro microbiota.

Quindi, alleniamo il nostro microbiota!

 

Ilena Li Mura, PhD

Biologa nutrizionista


References

Exercise and the Gut Microbiome: A Review of the Evidence, Potential Mechanisms, and Implications for Human Health

Endurance exercise and gut microbiota: A review

 

Mangia l’arcobaleno

“Eat the rainbow”, letteralmente “mangia l’arcobaleno”, è il mantra che viene ripetuto ai pazienti ricoverati per depressione presso la Facoltà di Medicina di Graz, in Austria.

Questa espressione, facile da memorizzare e dal significato immediato, viene utilizzata per spiegare ai pazienti le basi della dieta mediterranea.

Ma perchè la dieta mediterranea dovrebbe apportare dei benefici a chi soffre di disturbi dell’umore come ansia e depressione?

Nell’ ultimo articolo del nostro blog vi avevamo anticipato qualcosa, oggi ne parleremo più approfonditamente.

I modelli dietetici “sani” per il benessere mentale

Lo stile di alimentazione mediterraneo rappresenta un modello di nutrizione “di alta qualità”, così come la dieta giapponese, la dieta norvegese, la dieta vegetariana e la cosiddetta dieta DASH (Dietary Approach to Stop Hypertension), ovvero la dieta volta al controllo dell’ipertensione.

Applicando questi modelli alimentari a diversi gruppi di pazienti con disturbi dell’umore è emersa una correlazione significativa con il miglioramento di sintomi quali rabbia, depressione, ansia, tensione, fatica, stress e punteggio globale POMS (Profile Of Mood States), un test utilizzato per rilevare i disturbi del tono dell’umore.

Cosa hanno in comune questi regimi alimentari?

Si tratta di stili di alimentazione caratterizzati da un elevato apporto di frutta e verdura, cereali non raffinati, legumi, noci, semi oleosi, pesce, prodotti fermentati e caseari a ridotto contenuto di grassi e, per contro, un limitato consumo di carne rossa, alimenti processati e zuccheri aggiunti.

Gli alimenti che tali diete prediligono sono ricchi in nutrienti come acidi grassi polinsaturi omega-3, magnesio, zinco, selenio, vitamine, in particolare B, E, C, D e polifenoli, che possono influenzare l’insorgenza e il decorso di disturbi dell’umore.

Diversi studi hanno evidenziato specifiche carenze di questi nutrienti nei pazienti che soffrono di depressione o che presentano un elevato rischio di incorrere in episodi depressivi.

Un altro dato interessante deriva da uno studio che ha messo a confronto una dieta ad alto carico glicemico con una a basso carico glicemico.

Il carico glicemico è un parametro che valuta l’impatto di un dato alimento sul livello di glucosio nel sangue (glicemia), in base alla tipologia e alla quantità di carboidrati in esso contenuti.

Dallo studio è emerso che i soggetti che avevano seguito una dieta a basso carico glicemico avevano riportato un miglioramento di depressione, ansia, fatica, confusione e tono generale dell’umore, rispetto al gruppo di pazienti che aveva seguito una dieta ad alto carico glicemico.

In che modo il cibo influenza il nostro stato mentale?

A livello fisiologico non sono ancora noti nel dettaglio i meccanismi attraverso i quali la nostra alimentazione possa avere un effetto sui sintomi di ansia e depressione, ma sono state proposte diverse ipotesi plausibili.

Determinati macro e micronutrienti presenti negli alimenti, quali acidi grassi, vitamine, minerali, polifenoli e flavonoidi possono influenzare la produzione e l’attività di neurotrasmettitori come la serotonina, lo stress ossidativo e lo stato di infiammazione, anche, ma non solo, attraverso effetti diretti e indiretti sul Microbiota intestinale.

Gli omega-3

Il nostro cervello è un organo ricco in lipidi, vale a dire grassi. La corretta proporzione tra acidi grassi saturi (SFAs) e acidi grassi polinsaturi (PUFAs), in particolare gli omega-3 DHA (acido docosaesaenoico) ed EPA (acido eicosapentaenoico) e l’omega-6 acido arachidonico, è fondamentale per la funzionalità del tessuto neuronale. 

Un aumento di SFAs, ad esempio, diminuisce la fluidità e la permeabilità delle membrane cellulari e un rapporto sbilanciato tra omega-3 e omega-6 può aumentare l’infiammazione a livello sistemico e neuronale.

La dieta “occidentale” è caratterizzata tipicamente da un apporto eccessivo di acidi grassi saturi e da uno squilibrio nel rapporto tra acidi grassi omega-3 e omega-6 a favore di questi ultimi.

Gli acidi grassi omega-3, in particolare l’EPA, hanno proprietà anti-infiammatorie note e la depressione è caratterizzata da un aumento dello stato di infiammazione dell’organismo. Ricerche sui topi suggeriscono che l’azione anti-infiammatoria degli omega-3 potrebbe essere dovuta al suo effetto sul Microbiota intestinale.

Inoltre, da studi recenti, è emerso che il consumo di acidi grassi omega-3 potrebbe aumentare la produzione di una proteina chiamata BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor) presente nel cervello, dove svolge un ruolo nel differenziamento, nella crescita e nel mantenimento dei neuroni e questo potrebbe avere un impatto benefico sull’umore.

Dati epidemiologici hanno dimostrato che la supplementazione con omega-3 (1,5-2 gr di EPA al giorno) è efficace nel trattamento della depressione, come supporto alla terapia convenzionale.

Vitamine e oligoelementi

Non c’è da sorprendersi che anche le vitamine siano essenziali per l’attività del sistema nervoso.

In particolare, nei pazienti depressi è ricorrente una carenza di acido folico (vitamina B9) e di vitamina D. Un elevato consumo di vitamina D, in particolare attraverso il pesce, è una caratteristica della dieta mediterranea.

Tra i minerali, lo zinco sembra giocare un ruolo importante nell’insorgenza dei disturbi dell’umore.

Lo zinco è un oligoelemento essenziale coinvolto in diversi processi cellulari, come la risposta immunitaria, la regolazione ormonale e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Una carenza di zinco potrebbe contribuire all’insorgenza dei sintomi depressivi attraverso l’attivazione di processi infiammatori e modificazioni del recettore NMDA (N-metil-D-aspartato), presente sulla membrana delle cellule nervose e fondamentale per le funzioni neuronali.

Le fibre

Un’altra “variabile” nutrizionale che ha un effetto sui sintomi di ansia e depressione è la fibra, intesa come quantità totale e tipologia di fibra assunta.

Le diete con un elevato contenuto di fibre (27-30 gr al giorno), in particolare da vegetali e cereali integrali, sono associate a una probabilità ridotta di circa il 40% di sviluppare sintomi di depressione, mentre una dieta ricca di zuccheri e cereali raffinati è associata a un’aumentata incidenza di disturbi dell’umore.

I fitochimici

Il mondo vegetale è anche una fonte di polifenoli, composti chimici sintetizzati dalle piante (fitochimici) per proteggerle dai patogeni. I polifenoli aumentano i livelli di serotonina nel cervello, la produzione di BDNF e riducono l’infiammazione e questo potrebbe spiegare in parte il loro effetto positivo sul tono dell’umore.

D’altra parte, i polifenoli agiscono da prebiotici e la loro azione sul sistema nervoso potrebbe essere dovuta anche ai metaboliti secondari che derivano dal loro utilizzo da parte del Microbiota intestinale.

In sintesi quindi…

Una dieta varia e colorata, che includa una quantità elevata di frutta e verdura di stagione, carboidrati complessi, proteine magre, in particolare dal pesce, legumi, semi oleosi, frutta secca, può contribuire al nostro benessere mentale, oltre a essere un importante strumento di prevenzione per svariate malattie.

Mangiamo a colori, mangiamo l’arcobaleno!

Ilena Li Mura, PhD

Biologa Nutrizionista

 


Bibliografia

Feeding melancholic microbes: MyNewGut recommendations on diet and mood.

The association between diet and mood: A systematic review of current literature.

The Role of Nutrition and the Gut-Brain Axis in Psychiatry: A Review of the Literature.

The Role of the Gut Microbiota in Dietary Interventions for Depression and Anxiety.