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Microbiota e tumore al colon

Abbiamo visto come il microbiota intestinale sia implicato nell’insorgenza, nell’esacerbazione o, al contrario, nella remissione dei sintomi di diverse patologie, sia intestinali che sistemiche. Detto questo, una domanda sorge spontanea: il microbiota potrebbe avere un ruolo nell’insorgenza di una delle patologie più gravi che colpiscono il tessuto intestinale, ossia il tumore al colon-retto?

Questo tipo di tumore è il secondo in Italia tra quelli più frequentemente diagnosticati (il primo è il tumore al seno) e, purtroppo, sempre il secondo come causa di morte (il primo è quello al polmone). E’ più frequente negli uomini che nelle donne (1 caso su 13 rispetto ad 1 su 21) ma negli ultimi anni si sta fortunatamente assistendo ad una riduzione dei casi per entrambi i sessi.

Dato l’impatto di questa neoplasia, le ricerche su di essa e sull’ambiente che la circonda sono molto approfondite: ne deriva che anche l’associazione microbiota-tumore al colon sia molto studiata.

Causa o effetto?

Come per le altre patologie che dipendono da un mix di genetica, ambiente, fattori endogeni e microbiota, capire se un microbiota sbilanciato sia una causa o una conseguenza della malattia non è per niente facile. Infatti i meccanismi con cui un microbiota sbilanciato potrebbe influire sull’insorgenza del tumore al colon sono diversi anche se non ancora del tutto chiariti. Una prima attività pro-oncogenica riguarderebbe i metaboliti prodotti dal microbiota: molecole infiammatorie, ossidanti o tossiche per le cellule che potrebbero danneggiarsi e mutare. In secondo luogo un microbiota patogenico potrebbe legarsi alle cellule, invadere il tessuto e traslocare fuori dal lume intestinale. In questa area potrebbe attivare il sistema immunitario che a sua volta danneggerebbe il tessuto e così via. Ma tutti i batteri patogeni e tutte le disbiosi possono aumentare il rischio di cancro al colon?

Alcuni dei colpevoli sono noti

All’interno di un microbiota sbilanciato, alcuni indiziati batterici sono particolarmente noti ai ricercatori. Tra questi il famoso Fusobacterium nucleatum è il batterio più comunemente presente in casi di tumore al colon e pertanto ormai è considerato quasi un marcatore di patologia. È un batterio pro-infiammatorio e la sua presenza (associata ad altri fattori di rischio genetici) aiuta a far proliferare le cellule neoplastiche e a inibire una difesa immunitaria anti tumorale. Non è comunque l’unico. Le Peptostreptococcaceae, E. coli tossigenico, persino batteri orali come la Porphyromonas gingivalis sono spesso correlati con l’insorgenza del tumore al colon.

Stile di vita e alimentazione prima difesa

Possedere tali batteri nel proprio microbiota intestinale tuttavia non implica che la patologia insorga necessariamente. Sono un fattore di rischio ma, come ben sappiamo, un microbiota disbiotico può essere modulato tramite uno stile di vita attivo e un’alimentazione sana. Infatti, diversi studi hanno dimostrato che uno stile di vita poco attivo e un indice di massa corporea alto sono altamente correlati all’insorgenza del tumore al colon. Tali fattori di rischio tendono a promuovere uno stato infiammatorio e ad impoverire il microbiota di batteri produttori dei benefici acidi grassi a corta catena. Al contrario uno stile di vita attivo, un basso indice di massa grassa e sicuramente un’alimentazione bilanciata, ricca in fibre (frutta, verdura, grani) e grassi buoni (pesce, grassi vegetali) promuovono la crescita di batteri benefici e proteggono dall’insorgenza del tumore al colon (come di molti altri tumori).

Non possiamo cambiare i nostri geni ma possiamo aiutarli con diverse strategie, a partire dalle scelte che facciamo a tavola e di conseguenza da come trattiamo il nostro piccolo grande tesoro batterico che abbiamo in pancia.

La ricerca ci sta aiutando a capire come fare. Aiutiamo la ricerca.

Alla prossima!

Eleonora Sattin, PhD

P.S.

Visitate l’iniziativa del collega bioinformatico Dr. Benvenuto per sostenere la raccolta fondi AIRC al seguente link.


https://www.epicentro.iss.it/tumori/pdf/NC2019-operatori-web.pdf

Dominik Ternes, Jessica Karta, Mina Tsenkova, Paul Wilmes, Serge Haan, Elisabeth Letellier.
Microbiome in Colorectal Cancer: How to Get from Meta-omics to Mechanism? (2020) Trends in Microbiology DOI:https://doi.org/10.1016/j.tim.2020.01.001

Song M, Chan AT, Sun J. Influence of the Gut Microbiome, Diet, and Environment on Risk of Colorectal Cancer. Gastroenterology. 2020 Jan;158(2):322-340. doi: 10.1053/j.gastro.2019.06.048. Epub 2019 Oct 3. PMID: 31586566; PMCID: PMC6957737.

De Almeida, C. V., de Camargo, M. R., Russo, E., & Amedei, A. (2019). Role of diet and gut microbiota on colorectal cancer immunomodulation. World journal of gastroenterology, 25(2), 151–162. https://doi.org/10.3748/wjg.v25.i2.151

Sánchez-Alcoholado, L., Ramos-Molina, B., Otero, A., Laborda-Illanes, A., Ordóñez, R., Medina, J. A., Gómez-Millán, J., & Queipo-Ortuño, M. I. (2020). The Role of the Gut Microbiome in Colorectal Cancer Development and Therapy Response. Cancers, 12(6), 1406. https://doi.org/10.3390/cancers12061406

 

Psoriasi: lo squilibrio dell’asse intestino-pelle

“Puliti dentro, belli fuori.” recita una nota pubblicità. Probabilmente gli autori di questo slogan non potevano immaginare che la scienza del microbiota avrebbe dato loro ragione, ovviamente mutatis mutandis.

C’è un forte legame tra dentro e fuori

Il microbiota intestinale non è un tessuto a sé stante che controlla solo la funzionalità di se stesso e degli organi in cui vive ma influenza anche altre parti del corpo umano. Infatti lo abbiamo visto interagire con il cervello (asse intestino-cervello), oppure intervenire in patologie sistemiche come il diabete: perché non potrebbe influire anche su uno dei tessuti più visibili del nostro corpo ovvero la pelle?

Eppure sembrerebbero così distanti.. In realtà non è così: il microbiota intestinale produce svariate molecole segnale che intervengono ad ampio spettro sul benessere della pelle. Infatti i nostri abitanti intestinali regolano, tra le altre cose, anche il sistema immunitario sottocutaneo, la proliferazione delle cellule della pelle (i cheratinociti), e la rigenerazione cellulare e tissutale ad esempio dopo una ferita. Pertanto, in un certo senso, se siamo “belli dentro” (= in eubiosi o equilibrio intestinale) molto probabilmente siamo anche “belli fuori” (= in omeostasi tissutale, la pelle funziona correttamente). In altre parole siamo di fronte all’equilibrio dell’asse intestino-pelle.

E se l’equilibrio si rompe?

Molte patologie sistemiche o autoimmuni presentano uno stato di squilibrio intestinale che si auto alimenta in un circolo vizioso di disbiosi, infiammazione e distruzione della barriera intestinale in cui causa ed effetto sono spesso sovrapposte. E’ la barriera intestinale danneggiata che induce infiammazione e disbiosi o viceversa? Un po’ entrambe. Ad ogni modo tale condizione favorisce il passaggio di molecole infiammatorie batteriche nel sangue che, nel suo percorso, arriva anche al derma.

Nelle persone predisposte, questo accumulo di segnali “intestinali” induce le cellule immunitarie sottocutanee a produrre molecole infiammatorie che attivano i cheratinociti a proliferare esageratamente. Questo causa ispessimento della pelle che può rompersi per motivi meccanici. Il microbiota della pelle a questo punto diventa fondamentale perché la sua composizione può influenzare positivamente o negativamente la guarigione della lesione. 

La psoriasi è una patologia da “esposoma”

Quanto descritto sopra è il tipico scenario che accade nella psoriasi, una dermatosi cronica infiammatoria mediata dal sistema immunitario che dipende da moltissimi fattori interni ed esterni (esposoma). Genetica, stile di vita, alcuni medicinali, obesità, fumo, infezioni, stress, sembrano essere fortemente correlati all’insorgenza della patologia. Si presenta con chiazze di pelle ispessita e soggetta ad una forte desquamazione, fino a provocare lesioni cutanee.

In molti casi la psoriasi è diagnosticata insieme ad altre patologie che sono anch’esse collegate con una modulazione sbilanciata del sistema immunitario, un livello esagerato di infiammazione sistemica e disbiosi con danno alla barriera intestinale. Infatti ad esempio il 7%-11% di persone con IBD ha diagnosi di psoriasi e spesso obesità, ipertensione o diabete di tipo 2 dimostrano comorbidità con la psoriasi.

In tutte queste patologie il tipo di disbiosi è un po’ diverso e spesso non sempre chiaro tra i diversi studi, tuttavia ciò che è noto è in tali patologie alcuni batteri probiotici e benefici tendono a diminuire. Uno su tutti il Faecalibacterium prausnitzii, che produce molecole antinfiammatorie e regolatorie per il sistema immunitario, è tipicamente impoverito.

Curare l’intestino per curare la pelle?

Antibiotici, probiotici, trapianto fecale sono in test per migliorare la patologia utilizzando come target l’intestino. Ad esempio, diversi studi hanno testato l’efficacia di alcuni probiotici sul riequilibrio dell’asse intestino-pelle, come il Bifidobacterium infantis 35,624 e il Lactobacillus pentosus GMNL-77 che hanno ridotto i livelli di infiammazione sistemica e attenuato i sintomi della psoriasi. Nondimeno il trapianto fecale, come per l’IBD, è una strategia che sembra molto promettente per abbassare l’infiammazione sistemica.

E che dire dell’alimentazione? Sappiamo che è uno degli strumenti più comuni a disposizione per contrastare la disbiosi e l’infiammazione. Non a caso, tra le altre, la dieta mediterranea ricca in antiossidanti, omega-3, vitamine ed oligoelementi è un ottimo coadiuvante nella terapia di una patologia infiammatoria sistemica come la psoriasi.

Forse un po’ lo potevamo immaginare?! 😉

Alla prossima!

Eleonora Sattin, PhD


Atiya Rungjang et al. (2020). Skin and Gut Microbiota in Psoriasis: A Systematic Review

Giovanni Damiani et al. (2020). Gut microbiota and nutrient interactions with skin in psoriasis: A comprehensive review of animal and human studies. World J Clin Cases

Mariusz Sikora et al (2020). Gut Microbiome in Psoriasis: An Updated Review. Pathogens

Dalal I. Alesa et al. (2019). The role of gut microbiome in the pathogenesis of psoriasis and the therapeutic effects of probiotics. J Family Med Prim Care.

Hsu et al. (2020). Role of skin and gut microbiota in the pathogenesis of psoriasis, an inflammatory skin disease. Medicine in Microecology

Lunga vita al Microbiota

… o grazie al Microbiota?

Entrambe le cose, data la natura mutualistica della profonda e antica relazione tra batteri e umani.

Ma esiste una “firma” del Microbiota in termini di longevità?

E’ la domanda alla quale hanno cercato di rispondere diversi gruppi di ricerca, studiando quello che potrebbe essere definito il miglior modello di “invecchiamento di successo”: i centenari (99-104 anni d’età) e i semi supercentenari (105-109 anni d’età).

Rispetto agli ottuagenari e nonagenari appartenenti allo stesso gruppo, in termini di genetica e stile di vita, i centenari mostrano una più bassa incidenza di malattie croniche, bassi livelli di infiammazione cronica dovuta all’invecchiamento (inflammaging), assenza o ritardato esordio di deterioramento cognitivo, assenza di malattie neurodegenerative (Parkinson e Alzheimer), bassi livello di ansia e depressione.

Non male, vero?

Quella dei centenari appare, dunque, una condizione eccezionale e affascinante, in termini fisiologici e “filosofici”.

Rappresenta una miscela unica di forza e fragilità accumulate negli anni, che coesistono e sono il risultato della straordinaria capacità di questi soggetti di rispondere e adattarsi all’insieme degli stimoli “dannosi” che la vita comporta, come stress ossidativo, infiammazione ed esposizione a sostanze estranee tossiche, i cosiddetti xenobiotici.

Una bella metafora di resilienza, non trovate?

Disbiosi e “inflammaging”

Vi starete chiedendo quale potrebbe essere la formula dell’elisir di lunga vita. Le variabili in gioco sono molteplici e “il tutto è diverso dalla somma delle parti”, vale nella psicologia della Gestalt come anche in fisiologia.

Il Microbiota intestinale, in condizioni non disbiotiche, è una delle variabili che possono contribuire all’invecchiamento “in salute” dell’organismo umano, preservando nell’ospite l’omeostasi fisiologica e immunitaria, contrastando il processo di inflammaging, la permeabilità intestinale e il deterioramento della salute ossea e mentale.

E’ noto che la disbiosi intestinale favorisca uno stato di infiammazione a livello sistemico che, a sua volta, determina un aumento delle cosiddette specie reattive dell’ossigeno o radicali liberi,  coinvolti nell’insorgenza di numerose patologie e nell’invecchiamento.

In queste condizioni, i cosiddetti “patobionti”, come Enterobacteriaceae, Enterococcaceae, Staphylococcaceae, proliferano, a discapito di altre specie batteriche benefiche, in quanto sono microrganismi aerobi facoltativi, vale a dire che riescono a tollerare la maggiore disponibilità di ossigeno che caratterizza l’intestino infiammato, supportando condizioni pro-infiammatorie e alimentando un circolo vizioso infiammatorio che porta all’insorgenza di una serie di malattie tipiche dell’invecchiamento.

A tutto ciò va aggiunto il contributo della genetica, dello stile di vita e dei fattori ambientali.

Longevità, un patto con il Diavolo?

L’evidenza più interessante è emersa dal confronto delle comunità microbiche intestinali nei centenari e nei semi supercentenari rispetto a soggetti di altre classi di età appartenenti alla stessa popolazione di riferimento, in un range dai 22 ai 109 anni.

Questi studi hanno portato alla luce caratteristiche uniche dei centenari, in termini di composizione del Microbiota intestinale, rispetto al gruppo degli adulti giovani e degli anziani settantenni, suggerendo l’insorgenza di un profondo rimodellamento adattativo del Microbiota intestinale dopo 100 anni di associazione simbiotica con il suo ospite.

Più che scendere a patti con il Diavolo, quindi, i soggetti particolarmente longevi sembrano aver “rinegoziato il patto mutualistico” con il proprio Microbiota, cambiando, in parte, i partners batterici che supportano il loro stato di salute. 

In particolare, il Microbiota dei centenari mostra una più alta diversità in termini di composizione delle specie batteriche e una diminuzione di alcune specie produttrici di butirrato (Ruminococcus obeum, Roseburia intestinalis, Eubacterium ventriosum, Eubacterium rectale, Eubacterium hallii, Papillibacter cinnamovorans, Faecalibacterium prausnitzii), controbilanciata da un aumento di altre specie benefiche, quali Akkermansia muciniphila, Bifidobacterium longum, Eggerthella lenta, Christensenellaceae, associate a un basso indice di massa corporea e con proprietà antinfiammatorie e immunomodulanti. 

Un’altra interessante caratteristica del Microbiota dei centenari e in particolare dei semi supercentenari è la presenza di un maggior numero di geni microbici coinvolti della degradazione degli xenobiotici, probabilmente come risultato di un processo di adattamento funzionale all’esposizione continua e all’accumulo di queste sostanze tossiche nel corso della loro lunga vita. 

Invecchiare nei paesi industrializzati comporta anche questo.

In conclusione

I soggetti più longevi perdono alcune componenti caratteristiche del microbioma intestinale degli adulti, per acquisire una nuova salutare “ricchezza microbica”. 

Penso che sia questo, in fondo, il vero segreto dell’invecchiare bene, lasciar andare la vita adulta, così come si è abituati a viverla, per accogliere una nuova condizione di equilibrio, ad ogni livello, dal micro al macro-scopico.

PS: in copertina una mia foto delle Highlands scozzesi nella lontana estate 2010, un bel posto dove invecchiare 🙂

Ilena Li Mura, PhD

Biologa Nutrizionista


References

Gut microbiota changes in the extreme decades of human life: a focus on centenarians.

Shotgun Metagenomics of Gut Microbiota in Humans with up to Extreme Longevity and the Increasing Role of Xenobiotic Degradation

Super vitamina C e super microbiota

Il mio professore di chimica inorganica del primo anno di università era un signore anziano ma pieno di vita e di storielle interessanti. Una delle sue preferite era quella sulla vitamina C, ovvero, secondo lui, una panacea per tutti i mali: raffreddore, influenza, stanchezza, mal di pancia e chi più ne ha più ne metta. Raccontava che a casa ne aveva scorte illimitate e ne assumeva ogni giorno. A noi studenti sembrava un’esagerazione ma a guardare la sua vitalità, lo era veramente?

Cos’è la vitamina C?

La vitamina C, o acido ascorbico, è un composto che nel nostro organismo svolge una moltitudine di funzioni importanti ma che dobbiamo assumere con l’alimentazione poiché non siamo in grado di produrlo. Possiamo trovarlo in molti alimenti freschi come arance, fragole, mandarini, kiwi, limoni, spinaci, broccoli, pomodori e peperoni. Purtroppo essendo sensibile al calore, tende a degradarsi in fase di cottura, pertanto gli alimenti che lo contengono andrebbero consumati crudi o poco cotti. 

Vitamina C come antiossidante

Perché dovrebbe interessarci così tanto? In questo periodo di influenze e raffreddori l’associazione mentale con la Vitamina C viene quasi spontanea, in quanto è molto nota la sua attività antiossidante e stimolante del sistema immunitario. Normalmente la vitamina C funge da sentinella che imprigiona molecole reattive come i famosi radicali dell’ossigeno che aumentano la quantità di ossigeno in aree dove non dovrebbe essere molto concentrato. Se i radicali sono liberi e felici provocano reazioni a catena che destabilizzano le strutture biologiche, come le pareti cellulari, le proteine, i grassi e così via. L’acido ascorbico li ammanetta prima che combinino guai: in questo modo riesce a mantenere un livello di ossidazione dei tessuti molto basso e previene la loro degradazione. Questo è il tipico lavoro di un antiossidante.

Fin qui tutto bene, ma non è l’unico composto che ha queste abilità. Quindi? Fino a qualche anno fa i ricercatori hanno studiato la Vitamina C senza considerare la sua interazione con uno dei tessuti intestinali più attivi, ovvero il microbiota. Di conseguenza è da poco tempo che abbiamo cominciato a capire le profonde potenzialità di questo composto nei confronti del nostro intestino.

Perchè gli antiossidanti nell’intestino?

Condizioni di infiammazione intestinale e disbiosi sono spesso accompagnate da uno stato di ossidazione sbilanciato. In questi casi il microbiota stesso produce molecole che favoriscono l’infiammazione che a sua volta induce le cellule intestinali a emettere segnali che aumentano il livello di ossidazione del tessuto. Un circolo vizioso che a lungo andare può indebolire la barriera intestinale e può portare l’infiammazione a tutto l’organismo, condizione che viene definita malattia metabolica. La condizione di barriera debole (leaky gut) infatti permette alle molecole dannose di spostarsi dal lume intestinale all’intero organismo, scatenando una reazione infiammatoria che da localizzata può diventare anche sistemica. Una barriera intestinale poco solida è infatti un elemento che hanno in comune moltissime patologie che interessano l’intero organismo come diabete, malattie autoimmuni, obesità, etc. 

Le potenzialità inattese della vitamina C

Alcuni ricercatori hanno studiato gli effetti della supplementazione della Vitamina C in modelli di disbiosi intestinale e scarsa attività anti-ossidante e hanno notato che la quantità di ossigeno nel tessuto e il rapporto tra batteri patogeni e benefici miglioravano. Questi effetti positivi erano accompagnati anche da una ricostituzione della funzionalità della barriera intestinale e addirittura da una riduzione dell’infiammazione sistemica. In altri campi, alcuni studi hanno evidenziato inoltre che la vitamina C iniettata in vena quasi dimezza la mortalità nei casi di risposta esagerata e dannosa dell’organismo ad un’infezione (condizione definita sepsi). Questo avviene perché la vitamina C attenua lo stress ossidativo ed immunologico, migliora la risposta dei vasi sanguigni, modula le cellule immunitarie.

Nutrirsi bene, antiossidarsi meglio

Insomma, era noto che la vitamina C possedesse molteplici proprietà benefiche ma non l’avremmo mai detto che potesse essere così importante anche per il nostro intestino oltre che per l’intero organismo. E stiamo parlando solo di una delle migliaia di molecole contenute negli alimenti: quante altre proprietà hanno i diversi macro/micronutrienti che assumiamo con il cibo? Di conseguenza quanto è importante che gli alimenti che mangiamo contengano tutte queste molecole benefiche? In casi di carenza si può ricorrere agli integratori ma normalmente se la nostra alimentazione è ricca in cibi freschi, bilanciata e variegata, possiamo fornire al nostro intestino tutto il potere antiossidante che gli serve. La nozione interessante e innovativa che emerge è che in casi di patologie particolari, un’integrazione controllata di vitamina C potrebbe rivelarsi profondamente utile.

Probabilmente il mio professore di chimica era un po’ esagerato a concentrarsi solo su un tipo di nutriente ma sui benefici della vitamina C sicuramente ci aveva visto lungo.

Alla prossima!

Eleonora Sattin, PhD


The relationship between vitamin C status, the gut-liver axis, and metabolic syndrome

The Emerging Role of Vitamin C as a Treatment for Sepsis