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Microbiota e Diabete

In vista della giornata mondiale del diabete, il 14 novembre 2020, noi di Microbioma Italiano abbiamo voluto fare un piccolo excursus sul forte legame tra microbiota intestinale e questa patologia sempre più comune. Un legame da cui è possibile trarre molti insegnamenti e benefici.

Il diabete è una patologia che può insorgere nei bambini e negli adolescenti per motivi genetici, virali o di stress (si parla allora di tipo 1). Tuttavia nel 90% dei casi può emergere anche in un soggetto adulto a causa di uno stile di vita sedentario, obesità, presenza di grasso viscerale, dieta povera di fibre e ricca in grassi saturi e zuccheri. La predisposizione genetica deve essere presente ma abitudini sbagliate sono il trigger principale del diabete di tipo 2.

Cosa vuol dire diabete?

Essere diabetici implica non essere in grado di gestire l’assunzione di zuccheri semplici o complessi. Questo accade perché l’insulina, l’ormone deputato alla gestione del metabolismo del glucosio, è carente oppure le cellule e i tessuti su cui agisce ne sono insensibili (insulino-resistenza). Solitamente nel diabete di tipo 2 c’è una combinazione di entrambe le cause. In queste condizioni, si ha un accumulo di glucosio nel sangue (iperglicemia) che, a cascata, provoca una diminuzione dell’assorbimento del glucosio nei muscoli e un aumento degli acidi grassi in circolo. Questi ultimi sembrano essere collegati all’aumento della secrezione di molecole infiammatorie e al danno a molteplici organi e tessuti. Di fatto nel diabete l’infiammazione è la causa principale delle complicazioni che possono insorgere nel lungo periodo, come patologie cardiovascolari, necrosi tissutale, perdita della vista, insufficienza renale etc. 

Microbiota e diabete

Quando si parla di infiammazione sistemica non si può non parlare di microbiota. Non è un caso se moltissimi studi abbiano rilevato un microbiota caratteristico della patologia diabetica. Il microbiota infatti modula l’infiammazione, interagisce con i nutrienti, influenza la permeabilità intestinale, il metabolismo del glucosio e lipidico, la sensibilità all’insulina e il bilancio energetico del corpo.

Diversi microbi intestinali possono promuovere un’infiammazione di basso grado o endotossiemia, tipica del diabete di tipo 2, e possono scalzare prepotentemente i batteri benefici. Batteri come Bifidobacterium, Bacteroides, Faecalibacterium, Akkermansia e Roseburia sono normalmente sottorappresentati nel microbiota dei diabetici mentre Ruminococcus, Fusobacterium e Blautia tendono ad aumentare. Il primo gruppo di batteri è normalmente considerato antinfiammatorio, produttore di butirrato e promotore di una bassa permeabilità intestinale. Inoltre, può avere attività inibitoria nei confronti di enzimi che degradano i carboidrati complessi, riducendo l’iperglicemia postprandiale. Al contrario, il secondo gruppo tende a favorire la produzione di molecole infiammatorie e a promuovere uno stato di alterata permeabilità intestinale.

Microbiota e farmaci 

Il microbiota residente può positivamente o negativamente influenzare l’attività e l’efficacia  dei farmaci utilizzati per curare il diabete. Non solo, alcuni batteri probiotici sono in sperimentazione per favorire la modifica del microbiota in senso “positivo”, per abbassare il grado di infiammazione sistemica e ristabilire il metabolismo normale del glucosio. B. lactis, B. animalis, L. plantarum, L. sakei, L. rhamnosus, sono tutti probiotici che hanno dimostrato diverse abilità nel management della patologia.

Prevenire è meglio

Ad ogni modo, sapendo che il diabete di tipo 2 è una patologia che dipende molto dalle nostre scelte, è certamente fondamentale prendere le decisioni giuste per quanto riguarda stile di vita e alimentazione. Eliminare la sedentarietà ed abbracciare uno stile di vita attivo sfavoriscono l’insulino-resistenza. Assumere alimenti ricchi di fibre e abbandonare la dieta tipicamente occidentale, che sta provocando un incremento di patologie come il diabete, sono sicuramente scelte positive per una saggia prevenzione. 

Anche monitorare il microbiota può essere uno strumento utile per verificare lo stato di disbiosi ed infiammazione sistemica. L’analisi Microbioma Italiano EVO può infatti in tal senso supportare lo specialista, anche nella definizione di una strategia nutrizionale ed integrativa ad hoc

Alla prossima!

Eleonora Sattin, PhD


Gurung et al (2020) Role of gut microbiota in type 2 diabetes pathophysiology, The Lancet

Wanping Aw and Shinji Fukuda (2018) Understanding the role of the gut ecosystem in diabetes mellitus. J Diabetes Investig

https://www.epicentro.iss.it/diabete/

IBD: circolo vizioso di infiammazione e disbiosi intestinale

Ho diversi conoscenti che soffrono di IBD e, stando alle loro descrizioni, questa condizione non è per nulla una passeggiata. Dolori, gonfiore addominale, malassorbimento, diarrea, sangue nelle feci, disagi ogni giorno. Ma cos’è l’IBD?

L’IBD, acronimo che sta per l’inglese Irritable Bowel Disease (Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, MICI), definisce una serie di patologie che comprendono, tra le altre, anche il famoso Morbo di Crohn e la Rettocolite Ulcerosa. Sono tutte patologie intestinali che non hanno un’origine ancora ben chiara (si dice: malattie idiopatiche) ma quello che si sa è che le cause scatenanti siano diverse.

Cosa succede nell’intestino con IBD?

L’intestino che sviluppa IBD assomiglia ad un campo di battaglia. Le cellule del sistema immunitario tendono ad attaccare le pareti dell’intestino, causando infiammazione, rigonfiamento, nei casi più gravi emorragie e cancrena (il tessuto muore). Le IBD infatti sono anche considerate patologie autoimmuni in quanto il sistema immunitario tende ad attaccare un organo dello stesso corpo a cui appartiene. L’infiammazione è accompagnata, o preceduta, da un microambiente intestinale che favorisce la crescita di batteri patogeni e proinfiammatori che alimentano l’infiammazione stessa. E così via, in un circolo vizioso.

Quali sono le cause dell’IBD?

Primo su tutti una persona dev’essere predisposta geneticamente: ci sono più di 230 geni implicati nello scatenarsi della patologia e il 12% dei casi di IBD sono familiari e trasmissibili. Non a caso molti dei 230 geni coinvolti hanno a che vedere con funzioni disregolate della barriera intestinale e con le interazioni anomale ospite-microbiota, anche a livello di sistema immunitario.

Nondimeno, diversi fattori ambientali possono favorire l’insorgenza o l’aggravamento della patologia: alcol, fumo, farmaci come antinfiammatori non steroidei e contraccettivi orali, e soprattutto la dieta. Tutti questi fattori sono implicati nella rimodulazione della barriera intestinale, del microbiota e del sistema immunitario.

E il microbiota?

Non è un caso se tutti i pazienti con IBD mostrano un microbiota disbiotico. La notizia interessante è che il microbiota disequilibrato non è una mera conseguenza della situazione patologica ma ne è una vera e propria causa. Diversi studi hanno dimostrato questa tesi: ad esempio è stato rilevato che il trapianto fecale oppure l’utilizzo di probiotici e antibiotici aiutano nella remissione dei sintomi. Questo suggerisce che, quando il microbiota sta bene, anche la patologia tende a scomparire e viceversa.

Normalmente i soggetti con IBD mostrano un microbiota intestinale molto meno vario rispetto ai sani e un incremento di batteri proinfiammatori come le Enterobatteriacee, specialmente E. coli e il Fusobacterium. Parallelamente si assiste ad una diminuzione di batteri che producono una molecola molto importante per il benessere intestinale e immunitario: il butirrato. Batteri come Firmicutes, Bacteroidetes, Lactobacillus e Faecalibacterium prausnitzii infatti tendono a diminuire. Guardate il profilo del microbiota intestinale di un partecipante al Microbioma Italiano che soffre di IBD. Si nota chiaramente la disbiosi ed un’altissima presenza di Enterobatteriacee, di cui una parte è composta da E. coli.

Tabella dell’indice di disbiosi. Il valore rappresenta un livello elevato di disbiosi del microbiota del soggetto.

Grafico che rappresenta la percentuale di abbondanza di alcune famiglie batteriche. Si nota la grande presenza di Enterobacteriaceae (ultima riga).

Come si cura l’IBD?

Attualmente le cure si basano su farmaci che bloccano o attenuano la risposta immunitaria. Infatti il primo approccio contro l’infiammazione cerca di fermare le cellule immunitarie infiammatorie ed i loro segnali d’allarme. Ma basta? Purtroppo tali patologie richiedono cure che durano tutta la vita, con alti e bassi, momenti migliori e ricadute. Pertanto è necessario fare qualcosa in più. Ovvero, data la loro implicazione nell’insorgenza della patologia, lo stile di vita e soprattutto la dieta possono diventare utilissimi alleati dei farmaci.

Negli anni diversi gruppi di ricerca hanno testato svariati approcci di nutrizione funzionale, altresì diete che potessero aiutare i pazienti nel mantenimento della remissione dei sintomi dell’IBD.

Quali sono gli alimenti che favoriscono il benessere intestinale in caso di patologie infiammatorie croniche? Ci sono delle diete che effettivamente funzionano?

Di tutto questo parleremo nella prossima puntata.

A presto!

Eleonora Sattin, PhD
Responsabile servizio Microbioma Italiano di BMR Genomics


Inflammatory bowel disease and immunonutrition: noveltherapeutic approaches through modulation of diet and the gut microbiome

Nutrition, IBD and Gut Microbiota: A Review

Batteri del buonumore? Esistono e sono farmaci viventi

Vi siete mai sentiti arrabbiati, tristi, ansiosi oppure anche solo stanchi e svogliati dopo una terapia antibiotica? Tranquilli, è tutto normale. Questa reazione è solo uno dei diversi modi con cui il microbiota fa sentire che c’è e che ha qualcosa da ridire. Sì, perché se da una parte gli antibiotici sono fondamentali per curare un’infezione batterica, dall’altra possono colpire anche batteri intestinali benefici. Infatti se si assumono i cosiddetti antibiotici “ad ampio spettro”, ovvero non specifici per un determinato gruppo di microrganismi, questi farmaci uccidono un po’ tutti i batteri sensibili a quella molecola. Buoni o cattivi che siano.

Benefici batteri intestinali residenti

Abbiamo già parlato del ruolo che il microbiota ha nei confronti della nostra salute mentale, del nostro umore, della nostra socialità. Un microbiota equilibrato comunica con il nostro organismo in modo da fornire sostegno energetico, nutritivo, ormonale ed ottenere in cambio cibo e protezione. Tuttavia fattori esterni (come terapie antibiotiche protratte per lungo tempo) o interni (come l’età avanzata) possono modificare questi equilibri e sostenere la crescita incontrollata di batteri infiammatori. Tutto questo a discapito di quei batteri che, come degli ambasciatori, tentavano di favorire la civile convivenza tra microbiota e ospite. Batteri come le Lachnospiraceae, F. prausnitzii, A. muciniphila, i Bifidobatteri e i Lattobacilli, sono degli ambasciatori intestinali e in presenza di patologie infiammatorie o terapie antibiotiche purtroppo tendono a diminuire.

Da pro-biotici a psico-biotici

Non è strano che questi ambasciatori benefici siano definiti probiotici (a favore della vita). Essi agiscono positivamente sul nostro organismo digerendo le molecole alimentari e trasformandole in composti antinfiammatori, energetici e immunostimolanti. Inoltre molti di questi probiotici sono coinvolti anche nella modulazione dell’asse intestino-cervello, nella regolazione dell’umore, nelle funzioni cognitive, nei processi di apprendimento e di memoria. Una loro forte diminuzione è stata vista in casi di patologie neurodegenerative (Alzheimer, Parkinson) oppure in caso di disordini mentali (depressione, autismo). Molti studi hanno riportato una correlazione tra assunzione prolungata di antibiotici, disbiosi, diminuzione di batteri probiotici e aumento di comportamenti simili a depressione o ansia.

Ma quindi se in queste patologie mancano determinati batteri, non potremmo reintegrarli? Ecco che da probiotici diventerebbero quasi dei farmaci per la mente: gli psicobiotici, appunto.

Medicina alternativa?

Non è un caso se, in concomitanza con una terapia antibiotica, sia consigliata l’assunzione di probiotici, anche in seguito alla conclusione della terapia stessa. In questo modo si favorisce la ricolonizzazione dell’intestino con batteri probiotici che a loro volta stimolano la crescita di altri batteri benefici. Lo stesso concetto di integrazione è stato applicato in vari studi di neuropsicologia, anche se ancora maggiormente su topi. 

Ad esempio Lactobacillus plantarum PS128 e Lactobacillus rhamnosus (JB-1) anche singolarmente evidenziano attività ansiolitiche, antidepressive. Bifidobacterium longum 1714 è anche antistress mentre Lactobacillus helveticus NS8 riduce le disfunzioni cognitive e così via.

Diverse mix di probiotici sono in fase di sperimentazione per patologie come Alzheimer, Parkinson, autismo, ADHD. La ricerca sta procedendo e molti studi si stanno spostando dai topi agli umani, pertanto in qualche tempo probabilmente potremo avere un nuovo scaffale in farmacia. O nel banco frigo, dato che diverse aziende produttrici di probiotici e alimenti si stanno già muovendo in tal senso.

Nuove prospettive partendo da dentro di noi

Il termine integrazione è molto incoraggiante ma spesso nasconde un punto focale: i nostri probiotici intestinali ce li abbiamo già e li dobbiamo allevare amorevolmente. Questo implica che il nostro comportamento, specialmente quello alimentare, deve fornire giornalmente ai nostri batteri benefici tutto l’occorrente per proliferare al meglio. 

La seguente tabella è una parte dell’analisi EVO di una persona che, pur non prendendo probiotici, ha nel suo intestino un’alta varietà di batteri benefici.

Batteri probiotici possono naturalmente essere presenti nell’intestino. A. muciniphila e F. prausnitzii sono i più comuni mentre i Bifidobatteri sono più presenti nei bambini o in caso di assunzione di probiotici integratori.

 

Dieta, movimento e stile di vita salutare saranno fondamentali per non perderli.

E voi, che batteri benefici avete?

Per chi volesse scoprirlo diamo un coupon con il 20% di sconto* sull’analisi di Microbioma Italiano, sia Evo che base: ev20-2204-1548.

Alla prossima!

Eleonora Sattin, PhD
Responsabile servizio Microbioma Italiano di BMR Genomics

*valido fino al 31/05/2020


Psychobiotics in mental health, neurodegenerative and neurodevelopmental disorders.

The Microbiome and Host Behavior.

Gut-Brain Psychology: Rethinking Psychology From the Microbiota–Gut–Brain Axis

Siamo Un Po’ Tutti Ricercatori…Di Benessere

Arriva la primavera e, con il cambio stagione, puntuali sonno e stanchezza. E allora i consigli “della nonna” sono di mangiare più frutta, verdura, integrare la dieta con vitamine, sali minerali, probiotici, etc. Negli scaffali delle farmacie varie pilloline colorate si sprecano. Ma davvero questi rimedi funzionano per tutti? Il nostro intestino è il primo motore dell’organismo, spetta a lui decidere. Ormai sappiamo che l’influenza del microbioma vale per tutto, come iniziare una dieta, eliminare alcuni alimenti, prendere un antibiotico, fare sport: ci siamo mai chiesti come reagisce il nostro microbioma e cosa gli succede quando cambiamo il nostro stile di vita? La scienza per ora ha ancora poche risposte generalizzabili… perché quindi non sperimentare direttamente su noi stessi?

Ricercare se stessi

Io lo ho fatto. Proprio così: mi sono chiesta cosa sarebbe cambiato nel mio intestino prima e dopo un periodo di assunzione di un potente integratore (di cui non chiedetemi il nome per favore). “Per alleviare la stanchezza mentale” recitava l’etichetta e conteneva composti vegetali di ginseng, guaranà, rosa canina, ontano e cola (composti notoriamente eccitanti ed antinfiammatori).
Ho quindi analizzato due campioni fecali, uno prima (codice 1795) e uno dopo i 10 giorni di integratore (codice 1864) e ho registrato i cambiamenti che sentivo. Ovviamente un solo campione non fa testo in un ambito scientifico ma per me è stato decisamente intrigante.
Sintomi pre-studio: ansia, stanchezza, leggera costipazione.
Sintomi post-studio: vitalità, dolori e gonfiore addominale (iniziato già dal 5° giorno), eccessiva motilità intestinale.
Che è successo là dentro?

Una scoperta imprevista

Confrontati i miei campioni, ho notato subito che il numero di specie batteriche era diminuito. Tuttavia dalla letteratura scientifica è noto che maggiore è il numero di specie e migliore è lo stato di salute. Cominciamo bene…
confronto-diversita
Proviamo ad osservare i Phyla: ho un classico profilo Europeo con più Batteroidi che Firmicuti e una scarsa quantità di Proteobatteri ed Actinobatteri. Dopo 10 giorni i Proteobatteri erano quasi raddoppiati e gli Actinobatteri quasi scomparsi!
confronto_phylum
Sono andata più a fondo per provare a capirci qualcosa. Nel complesso ho notato che diminuivano batteri notoriamente “buoni” come Faecalibacterium, Roseburia, Blautia, Dorea, Bifidobatteri e comparivano Enterobatteri non proprio salutari come Serratia e Hafnia, che potrebbero spiegare la maggiore attività intestinale. Lato positivo l’aumento di più di 12 volte della salutare Akkermansia municiphila che  combatte gli stati infiammatori e sembra influenzare la comunicazione intestino-cervello, riducendo probabilmente lo stato di ansia ed depressione. Ovviamente queste sono solo deduzioni sulla base di ciò che è noto di questi batteri [1-2].

Famiglia Genere Specie %1795 %1864
Verrucomicrobiaceae Akkermansia muciniphila 0.07 0.89
Bifidobacteriaceae Bifidobacterium longum 0.01 0.00
Bifidobacteriaceae Bifidobacterium Non Classificabili 0.02 0.01
Bifidobacteriaceae Bifidobacterium adolescentis 0.57 0.12
Lachnospiraceae Blautia Non Classificabili 1.05 0.53
Lachnospiraceae Blautia producta 0.3 0.15
Lachnospiraceae Blautia obeum 0.06 0.05
Lachnospiraceae Dorea Non Classificabili 0.12 0.04
Lachnospiraceae Dorea formicigenerans 0.03 0.03
Ruminococcaceae Faecalibacterium prausnitzii 8.32 2.57
Enterobacteriaceae Erwinia Non Classificabili 0.0 0.01
Enterobacteriaceae Hafnia alvei 0.0 0.01
Alcaligenaceae Sutterella Non Classificabili 2.24 0.86

Tabella rielaborata dai CSV

Una volta terminata l’assunzione, in 2-3 giorni la situazione si è ristabilita ai sintomi originali.
Insomma, da una parte sembra che questo prodotto sia effettivamente prebiotico per particolari batteri anti-infiammatori (e antidepressivi? [2]), dall’altra ha creato un po’ di subbuglio nel mio ecosistema, per così dire. Probabilmente ad altre persone farà un effetto diverso ma nel mio caso forse conviene trovare altri modi per rilassare la mente…

Ma, con altri prebiotici cosa succederebbe al mio microbioma? E aumentando l’attività sportiva? E con gli antibiotici? Chissà se tra questi ci sarà il mio modo di aumentare i batteri positivi senza effetti collaterali… la sperimentazione continua.

 

Se qualcuno volesse provare, abbiamo creato appositamente i bundle di 2 o più kit, e saremmo onorati poi di ospitare nel nostro blog il racconto di come è andato l’esperimento.

 

Dott.ssa Eleonora Sattin, PhD

Responsabile progetto Microbioma Italiano per BMR Genomics


 

[1] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4315779/
[2] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4879188/